sabato 13 aprile 2013

Benito Mussolini L' Oratore
Mussolini fù un grande oratore. O, per voler essere più precisi, un grande tribuno. Aveva tutte le qualità del ruolo: la voce, inconfondibile, grave con qualche riflesso metallico; il gesto secco e imperioso; lo sguardo che la propaganda del Minculpop non si stancherà di definire magnetico; la capacità d’improvvisare e la capacità di replicare. Nei frangenti più drammatici sapeva trovare la battuta efficace e lapidaria. "Se mi assolvete mi fate piacere, se mi condannate mi fate onore" disse ai giudici che gli avrebbero inflitto un anno di reclusione per la partecipazione come socialista massimalista ai moti del 1911 contro la guerra di Libia. E ai suoi compagni, nella stessa circostanza: "Se mi compiangete, vi do un cazzotto sul muso". Il giorno della sua espulsione dalla sezione milanese del partito socialista, il 24 novembre 1914, dopo la conversione all’interventismo, gridò: "Voi non mi perderete perché sono e rimarrò socialista [...]. Il socialismo è qualche cosa che si radica nel sangue [...]. Io vi dico che invano urlate, la guerra vi trascinerà tutti [...]". Non convinse. Ma s’era battuto. Prediligeva, già d’allora, le frasi ad effetto e le mozioni degli affetti più che i richiami alla ragione. (Ma bisogna pur fare, per l’oratoria mussoliniana, una netta distinzione tra i tempi in cui, parlando davanti a folle e ad assemblee dalle quali poteva venire il contraddittorio, usava argomenti, e i tempi in cui diventato il Duce, si limitò a enunciare dalle verità.) Il Mussolini che "marateggiava" (da Marat), secondo la bonaria espressione d’uno che lo aveva in simpatia, parlava "tutto a scatti, come un contadino": ma era un contadino, o un maestrino, che sapeva come farsi ascoltare.
Il Mussolini al potere, soprattutto quello degli anni d’incenso, coniava degli slogans, a volte così azzeccati e facili da tenere a mente come le arie del Rigoletto o della Traviata che sono rimasti nella memoria collettiva, assurgendo alla perennità dei luoghi comuni. La sua retorica non aveva bisogno di logica: non ne aveva bisogno nemmeno Hitler. Il tedesco sommergeva peraltro la logica sotto un’alluvione di profezie nibelungiche, l’italiano la sottometteva a un’enfasi scandita. "Tutto il popolo [discorso del i 5 maggio 1930] vecchi, bambini, contadini, operai, armati e inermi, sarà una massa umana e più che una massa umana, un bolide che potrà essere scagliato contro chiunque e dovunque.
E' ancora (25 ottobre 1932): "Tra un decennio l’Europa sarà fascista o fascistizzata: antitesi in cui si divincola la civiltà contemporanea non si supera che in un modo, con la dottrina e con la saggezza di Roma!". Era consapevole di quanto la parola fosse importante in politica: "La potenza della parola" confidò a Ludwig "ha un valore inestimabile per chi governa. Occorre solo variarla continuamente. Alla massa bisogna parlare imperioso, ragionevole avanti a un’assemblea, in modo familiare a un piccolo gruppo. E l’errore di molti uomini politici di avere sempre il medesimo tono. Naturalmente parlo al Senato diversamente che sulla piazza".
Ma al Senato ormai parlava raramente. I suoi interlocutori erano nella piazza. E a essi riservava, senza che se ne accorgessero, un disprezzo totale: sapeva che l’applauso era ormai assicurato (anche quand’era alle sue prime armi si portava del resto una claquedi amici, cui strizzava l’occhio dopo un pistolotto premeditato, perché dessero il via ai battimani). Tipico, al riguardo, il discorso invero brutto con cui annunciò l’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale. "Noi vogliamo spezzare le catene di ordine territoriale e militare che ci soffocano nel nostro mare […]. Questa è la guerra dei popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori […].Secondo le leggi della morale fascista quando si ha un amico si marcia fino in fondo." L’intero discorso era stato costruito per il finale "Vincere! E vinceremo", Mussolini non indugiò sulla travolgente avanzata tedesca che l’aveva indotto ad attaccare la Francia per poter sedere al banchetto in cui sarebbero state divise le spoglie dei vinti, non spiegò perché avesse scelto la cobelligeranza quando la Germania aveva scatenato il conflitto, ma non si era sicuri che vincesse. Tutto questo era superfluo. Nessuno gli avrebbe posto, né dalla piazza, né l’indomani dai giornali, domande imbarazzanti.
Ma l’oratore era di prim’ordine. Come il giornalista.

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