mercoledì 10 aprile 2013

La Famiglia e il Fascismo: un'inchiesta da fare
In un suo recente discorso alla Camera, l'onorevole Arpinati, dopo avere elencate le provvidenze attuate dal Fascismo per la difesa della razza, ha detto: "Ma i provvedimenti del Regime non bastano e non possono bastare senza una decisa ripresa di ordine morale che rimetta in onore le alte idealita' che fanno della famiglia il fine e l'orgoglio dell'uomo". [...]
Analogo linguaggio risuona nella nuova Germania, ove il Ministro nazionasocialista Goebbels, inaugurando a Berlino l'esposizione "La Donna", ha affermato: "Primo compito di una riforma sociale e' quello di restituire alla Donna il suo posto e cioe' quello di madre. Il Governo della rivoluzione nazionale agira' in tal senso, ricordando che matrimonio e maternita' della Donna sono le basi su cui poggia la Nazione".
Ovunque il mito delle frenetiche liberta' e' crollato per cedere il posto a una visione storica degli interessi dei popoli, ivi, la necessita' di una intelligente revisione dei costumi e di una piu' umana impostazione del problema morale, contro il facile andazzo edonistico ed avveniristico del "lasciar correre" si afferma come un crisma di nobilta' e di consapevolezza dei governi germinati sul saldo tronco della idea fascista e romana.
Nella generica affermazione di una necessaria ripresa morale, abbiamo sentito spesso ricordare la famiglia, come l'istituto intorno a cui si deve riannodare questa inderogabile ripresa. Su questo punto non mancano i pareri discordi: una recente polemica sulla letteratura infantile e sulla educazione dei nostri ragazzi ha fatto affiorare il concetto che il vincolo famigliare, gli affetti che legano i membri di una stessa famiglia, possano a un certo punto costituire un intralcio per quella educazione guerriera e virile che e' nelle finalita' del Fascismo. A nostro avviso la famiglia e' e deve restare la cellula madre della societa' fascista. Idee fondamentali per la esistenza dello Stato moderno, come sono l'idea di gerarchia, di disciplina, di sforzi tesi a un fine comune; sublimi astrazioni come quelle che facendo idealmente vivi nell'aggregato famigliare i morti nel loro culto, i nascituri nell'ansia con cui sono attesi, slargano la visione dei rapporti e dei compiti oltre la contingenza per rinsaldare il nesso indissolubile che lega le generazioni di un medesimo ceppo: se sono essenziali per intendere e servire la famiglia, non meno essenziali sono per intendere e servire la Nazione, e lo Stato in cui essa si concreta per perseguire e conseguire i suoi fini immediati e lontani.
Nel generale evolversi delle idee e degli istituti, quello della famiglia dovra' anche esso evolversi e adattarsi ai tempi nuovi: adattarsi ma non subirli, in cio' che essi comportino di slegamento e di dissoluzione, ma reagire anzi ad essi in quanto essi tendono a sminuire o a negare l'idea morale che la famiglia impersona.
L'istituto famigliare attraversa la sua crisi, che in parte non puo' essere arginata, rispecchiandosi in essa la rivoluzione economica e spirituale che si e' operata nel mondo. Il padre di famiglia, re della casa, col diritto di vita e di morte sulla moglie e sui figli, e' finito per sempre. Il saldo affermarsi dell'autorita' dello Stato ha spogliato il pater familias di una notevole parte - la piu' dura - delle sue attribuzioni.
La donna si e' evoluta: una piu' chiara coscienza della propria personalita' umana e della nobilta' della propria missione ha sottratto in genere la donna a quella sorta di schiavitu' che rappresentava il suo stato di famiglia. Il fatto, poi, che essa concorra spesso in misura cospicua, ai bisogni economici famigliari, o con l'apporto di una dote, o con l'esercizio di una professione fruttifera, fa si' che di tirannie derivanti da un primato economico-produttivo, l'uomo non ne possa piu' esercitare. La insufficienza dell'uomo produttore di reddito e di ricchezza di fronte ai bisogni della casa, genera anche la perdita di controllo, per lui, sulla volonta' dei figli. Quando in eta' ancora tenera ci si deve arrangiare per guadagnarsi un pane (le figlie per di piu' risolvendo da sole e affrontando da sole i problemi, le incognite, i pericoli che la loro tenera femminilita', scagliata sulle prime linee, comporta) la redine si tollera sul collo a patto che sia bene lenta e condiscendente.
Quella di "far da se'" dopo essere stata una necessita', diviene una tendenza, si consolida il bisogno, si afferma come diritto: e far da se' quando il cervello e il cuore, gli appetiti e gli istinti non hanno la remora di una certa esperienza, e' oltremodo pericoloso. Tutto cio' e' nell'inesorabile corso delle cose: ma c'e' chi tende a forzare questo corso. Autorevoli scrittori, in veste di maestri di vita, incitano i nostri giovani a perseguire la ricchezza con tutti i mezzi, a vergognarsi della poverta' come d'una colpa; a dissimulare furbescamente i loro piani, a essere, insomma, i giovani, non piu' giovani, senza il mirabile dono, cioe', della schiettezza, della lealta', della divina inesperienza.
Ne consegue, tra i giovani dei due sessi, una diffusa disistima degli uni per gli altri, almeno in quella borghesia su cui piu' si appunta la nostra attenzione, perche' attendiamo da essa i dirigenti che sempre ci ha dati: disistima che concorre notevolmente alla rarefazione dei matrimoni. Le ragazze vi diranno che "amore" e' parola da medioevo, e non sogneranno che la macchina: del marito o dell'amico, poco importa. Udrete dei giovanotti dire, che se debbono prendere moglie per restare nella loro condizione attuale, non si scomodano.
Noi temiamo di scorgere in tutto questo, nei pericoli che minano l'istituto famigliare, nella riluttanza a creare una famiglia, nell'eccessivo allentamento dei rapporti gerarchici famigliari, uno scadimento nell'uomo di quella robusta virilita' che il Fascismo con tanto amore e tanta costanza per altre vie persegue.
L'uomo-padre non piu' protagonista nella casa, mentre da taluni paesi anglosassoni avanza l'averrazione della donna padrona e del matriarcato; il perduto orgoglio della paternita' che non consiste semplicemente nell'allinear figli, abbandonandoli poi al loro destino, ma nell'adeguare lo sforzo alla famiglia crescente, per assicurarne il sostentamento e l'educazione fino al giorno delle possibili autonomie: ecco i pericoli.
Le ragioni economiche in questo decadimento dell'istituto famigliare hanno, abbiamo detto, un gran peso. Il quadro della famiglia disorganizzata e' infatti completo ove non esiste un quid economico intorno a cui la famiglia si raggruppi e si stringa. La famiglia operaia indubbiamente non brilla come coesione. La famiglia bracciante agricola, altrettanto. Salari modesti del capo famiglia che non bastano a tutto; la madre se ha dei figli deve stare a casa. La madre contadina, che ne ha di certo, non puo' davvero recarsi al lavoro. I figli crescono alla misericordia di Dio; la scuola bisogna interromperla presto: a dieci anni, appena ci siano abbastanza muscoli per una cofana di calce da incollarsi o per una zappa da imbracciare, la fatica incomincia.
Bisogna riconoscere pero' che nel passato la sorte di questi due tipi di famiglie non fu molto diversa dall'attuale. Piu' raccolta la famiglia artigiana, e quella colonica nei campi. Un'arte e una tradizione paterna, con clientela da continuare, o un podere a mezzadria che se la famiglia si sparpaglia, si perde, sono il nucleo economico intorno a cui l'unita' famigliare spesso resiste.
Ma la spiegazione prettamente materialistica "dell'economico che e' tutto" non regge. Orgoglio di tradizione famigliare nell'artigianato e profondo amore alla terra nella colonia, spiegano meglio e piu' questo fenomeno: di cui il capostipide artigiano con la sua abilita' professionale, non generica ma specializzata e talora illustre, il "capoccia" colono, con le sue virtu' di esperienza, di preveggenza, di esemplare laboriosita', offrono la profonda spiegazione. Perche' "tutto torna agli uomini"; che il Fascismo non puo', ne' deve considerare labili foglie in balia dei venti e delle forze brute, ma forgiatori vittoriosi del proprio destino.
Questa ricostruzione famigliare, soprattutto e oltre a tutto, ci sembra perseguire il Fascismo, quando si fa strenuo sostenitore dell'artigianato, nell'industria, e della mezzadria nell'agricoltura.
Una grande industria in serie, e una grande agricoltura industrializzata, di massimi rendimenti economici e con gli uomini ridotti a numeri, piacciono piu' a quelli di Russia, per i quali un problema morale, un problema famigliare non esistono, se non in quanto c'e' una morale da sradicare dal cuore del popolo, e una famiglia da affogare nello stagnante mare di un collettivismo anonimo ed amorfo. Comunque anche da noi, ove il problema delle massime rese e' assillante, industria in serie e agricoltura industrializzata potrebbero convenire di piu': se non ci stesse piu' che tutto a cuore questo supremo bene di ordine morale di una famiglia che nelle virtu' produttrici ed educatrici del padre e della madre, e nella conseguente sana crescita materiale e spirituale dei figli, fissa le ragioni di orgoglio di una propria inconfondibile personalita' che si perpetua attraverso le generazioni.
Il ceto piccolo borghese impiegatizio, quello professionista a scarsa clientela, quello piccolo proprietario terriero, sono i piu' battuti quanto a disgregazione famigliare. Vivono in genere in centri ove "l'occhio vede e il cuore duole": onde i bisogni sono molti, le possibilita' poche, le esigenze effettive si scambiano con le pretese smodate di una presunta necessita': qui troppo spesso i figli si sottraggono alla educazione dei genitori prima del tempo, e crescono i figli, bene o male, secondo che i naturali istinti prevalgano nell'uno o nell'altro senso: ma quasi sempre al di fuori, o malgrado, se non contro, la educazione famigliare. Qui, salvo provvidenze di generale tonificazione, di repressione o di educazione statale, volte ad integrare quella famigliare, c'e' poco da fare. Bisognerebbe triplicare il reddito del padre, perche' questo potesse avere sottomano i figli fino ad un'eta' conveniente: talora bisognerebbe triplicarne l'energia e la volonta', elementi che spesso difettano: due moltiplicazioni molto difficili da attuare. Interessante il caso della borghesia terriera, con grossi patrimoni e sbandate famiglie. Qui la insufficienza del fattore economico a giustificare lo scadimento della unita' famigliare si rivela in pieno.
E' vero: la borghesia terriera, media e grossa, attraversa un periodo molto critico. Patrimoni indebitati, proprieta' depauperate per impossibilita' di eseguire bonifiche, dotazione di scorte non reintegrata, e quindi insufficiente: ma l'aver permesso tutto cio' e' grave colpa del fattore "uomo".
In una Nazione eminentemente agricola come l'Italia, e nella quale al cardine terra si ritorna immancabilmente in ogni periodo di charoveggenza e di intelligenza politica, e dopo ogni delusione industrialistica, commercialistica, urbanistica in genere, la classe borghese agrigola, conservatrice per istinto, sperimentatrice per abito mentale, innovatrice perche' aperta ad ogni attuazione del buono sperimentato, fondamentalmente sana ed onesta per il secolare galantuomismo della terra che su di lei si irradia, sarebbe evidentemente la piu' atta (e ne avrebbe il dovere e il diritto) per prendere la direzione della cosa pubblica e per dare la sua impronta alla vita del paese. Ma anche qui, come nel contadino bracciante, c'e' quasi la vergogna della zolla e del solco: i figli si mandano al liceo e non alla scuola agraria e se ne tiran fuori avvocati, ingegneri, medici, senza avvenire, magari, e senza clientela: e avvocati medici ingegneri si cercano, si preferiscono per dare in marito alle figliuole. Per il tenimento agricolo grande o medio pensa, finche' vive, il papa': e se il papa' e' vecchio, o e' morto, si affitta, si fraziona, e comunque si diserta. Si sottrae cosi' al Paese, il beneficio prezioso di una classe terriera attiva, che vive sulla terra, che ha l'orgoglio della terra, che rifiuta gli ibridi mescolamenti con quelli di citta', gaudenti e dilapidatori di patrimoni. Chi cresce i figli nella idea che esser padroni di terre piu' che ricchezza normalmente intesa, e' privilegio e somma formidabile di doveri, non di una categoria, ma di una casta, chiusa e tetragona a ogni inquinazione, orgogliosa della giacca di fustagno e dei calli fatti nel portare, che sulla terra e' nata e sulla terra vuol morire, coi figli e coi figli dei figli. Mai abbastanza il Fascismo fara' per suscitare questo quadrato orgoglio e per incoraggiarlo ove esso vittoriosamente resista alle lusinghe dell'urbanesimo, con lo Studio cittadino o con l'ufficio dei maschi, con i cosmetici e i belletti delle femmine imparentate con gente all'amido.
Ci pare di avere elencati i vari tipi di famiglia: quali piu', quali meno saldi: abbisognevoli tutti delle maggiori cure.
Quali possono essere queste cure? Qui il discorso si fa difficile. D'altra parte il Regime Fascista e' gia' risolutamente sulla via della rivalorizzazione dell'istituto famigliare. Accanto al Fascio, organizzazione della nostra volonta' politica; al Sindacato, strumento del nostro dinamismo economico, deve entrare come terzo fattore essenziale la famiglia fascista, matrice della nostra potenza demografica ma soprattutto della nostra forza spirituale.
Lo Stato educatore puo' integrare non sostituire la famiglia che educa: ogni apparenza di contrasto tra educazione statale ed educazione famigliare deve essere chiarita e composta perche' famiglia e Stato tendono e debbono tendere agli stessi fini. Anzi la famiglia fascista, prima ancora della scuola e delle altre istituzioni parallele, deve diventare lo stumento essenziale attraverso cui lo Stato educa le nuove generazioni. Vogliamo fare dei nostri figli dei combattenti? E sarebbe il trepido cuore della madre in contrasto con questo fine che e' dello Stato? No: perche' noi non educhiamo soldati di ventura per portare ruina e desolazione, ma soldati pronti a difendere la Patria, quella Patria che per i grigioverdi di quindici anni or sono, ben altrimenti ignari e spiritualmente incolti che non la gioventu' di oggi, si materializzo' e si comprese fatta zolla, pietra e amore, nella casa e nel campo lasciati e nel volto della madre benedicente.
Bisogna aver fiducia nella famiglia: il Balilla che si fa uomo, la Piccola Italiana che cresce e si fa madre, e' nella famiglia che dobbiamo e vogliamo vederli domani alla prova: e' li' che possono e debbono dare il massimo rendimento: fascisti sempre e dappertutto, ma soprattutto nella casa ove essi sono chiamati a svolgere la piu' nobile e alta missione. Tutto cio' che possa restituire alla famiglia coesione, ordine, serenita' va in ogni modo incoraggiato: da salde, equilibrate famiglie, ricche di affetti e di sentimenti; ove il padre e la madre furono religione dei figli, sortirono sempre gli eroi piu' puri, i cittadini esemplari: eroi, questi, di una guerra senza cannoni e senza bandiere, ma che, per essere la normale battaglia della vita, richiede la maggior somma di tenacia e di sacrificio. Non dimentichiamo che quella della educazione famigliare e' una impronta che resta: e che spesso riaffiora malgrado ogni soprastruttura, ricollegandosi a tempi, ad effetti, ad emozioni di una eta' che l'uomo veramente uomo ricorda sempre con intima e raccolta tenerezza.
E valorizzare i padri di famiglia, da non confondersi coi puri e semplici facitori di figli. Anche da noi come cittadino, come produttore, l'uomo ha un suo rilievo, una sua valorizzazione: come padre di famiglia, no. Gli aiuti alle famiglie numerose non sono tutto: non e' il numero dei figli di per se stesso, quello che conta, ma la somma di energie che il padre intorno a questi figli e' capace di spendere, in quotidiano sforzo di superamento. Il vecchio che giunto a tarda eta' sa di aver portato vittoriosamente al traguardo i suoi cinque, sei, sette o piu' figliuoli, a ognuno procurando il suo mestiere o la sua professione, a tutti offrendo l'esempio di una operosita' che nei figli si perpetua e si tramanda, puo' ben chiudere sereno gli occhi: con lo stesso identico orgoglio del grande inventore, del superbo artista, del poeta che tutti celebrano.
Grandi figure di cui ognuno di noi ha esempio che sanno ancora oggi, nel feroce individualismo che ci tiene, mantenere raccolti intorno ad un unico folocale i figli, e i figli dei figli: reverenti, affettuosi, premurosi gli adulti come quando erano fanciulli: tanta e' la forza morale che da questi vecchi promana, e la saggezza della loro vita, e l'orgoglio che essi suscitano in chi e' disceso dal loro ceppo.

M. Pompei - articolo apparso in "Critica Fascista" - 1933, 9, pp. 163-6

Noi combattiamo per imporre una più alta giustizia sociale [...] perché adesso è notte, ma poi verrà il giorno. - Mussolini

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