venerdì 19 aprile 2013

NOI E LORO. UNA PICCOLA DIFFERENZA CHIAMATA ONORE
Nino Arena
 
 
La faziosità è dura a morire; la menzogna, soprattutto se finalizzata a radicalizzare un fatto arbitrario ha radici profonde; l’invito ai chiarimenti, se presuppone la fine del teorema illegalmente costruito per convalidare la falsità, viene di norma respinto. Poi tutto torna nel dimenticatoio ed ognuno si tiene le sue convinzioni cullandosi nell’ipocrisia e nella malafede. Talvolta, allorché vengono a mancare le motivazioni per controbattere accuse e invenzioni, si fa strada timidamente la loro "verità’’ riportata pedissequamente nelle occasioni, populiste e demagogiche, non di rado sui libri di testo, quasi sempre reperibile nella bibliografia resistenziale di comodo stampata dai grandi circuiti editoriali, nella speranza che "il luogo comune’’ si trasformi in "verità’’ storica: il gioco è fatto! Dovranno sopravvenire dirompenti eventi esterni, come accadde col muro di Berlino, per smantellare l’architrave della menzogna, meglio se originati al di fuori dell’Italia, in quanto ritenuti più credibili, attendibili, affidabili.
Molti anni or sono ho dovuto lottare contro un clan di pseudo storici (di parte) che, in contrasto col responso di una apposita commissione governativa, rifiutavano di accettarne le decisioni per malafede (leggasi: in contrasto con la loro ideologia). Si trattava del bluff sui fatti di Leopoli, di cui lo scrivente - per primo e con mesi di anticipo sulle conclusioni della commissione - denunciava il falso organizzato dal PCUS con la complicità di un giornalista comunista polacco.
Ogni tanto qualcuno si sente in diritto di emanare sentenze, forte, a suo parere, di trovarsi dalla parte "vincente’’; una ridicola convinzione poiché è risaputo che l’Italia ha perduto la 2ª guerra mondiale, che non ci sono stati vincitori e quelli che ritengono di essere tali sono soltanto poveri illusi, vissuti da sempre nella loro persuasione, nel loro sogno donchisciottesco ben al di fuori della realtà.
Una frase recentemente pronunciata da un personaggio di questo effimero clan di Soloni, ci ha colpito particolarmente: "... l’accostamento con la RSI non sarà gradito da noi veterani delle FF.AA. regolari (badogliani, tanto per precisare chi sono); una sottile distinzione per prendere le distanze dai partigiani, e precisava ancora: "Nel dopoguerra le faccende non si sono per niente chiarite, tant’è vero che i reduci della RSI ostentano ancora nelle celebrazioni la scritta Per l’Onore d’Italia. Una strana pretesa da parte del badogliano, che pensa di dettare condizioni e stabilire regole di comportamento, quasi che i reduci della RSI dovessero vergognarsi di tale "ostentazione’’.
Noi siamo di parere contrario, poiché gli atti compiuti da coloro che militarono al sud non sono sempre motivo edificante di ammirazione e ostentazione. Molti avvenimenti non possono essere accettati come atti onorevoli di cui vanagloriarsi e con loro attruppiamo i miserevoli individui del CLN che segnalavano agli aviatori alleati gli obiettivi da colpire (quasi sempre centri abitati); segnaliamo ancora la miseria morale degli uomini del Partito d’Azione che parlavano durante la guerra da Radio Londra contro l’Italia e che l’articolo 16 del trattato di pace salvò immeritatamente. Non sono atti di cui vantarsi gli aiuti militari italiani forniti a Tito - sanguinario despota balcanico - e da questi usati criminosamente per la pulizia etnica degli italiani, non sono atti ammirevoli quelli dati dalla marina cobelligerante alla Royal Navy permettendogli di affondare il "Bolzano’’ per pareggiare la notte di Alessandria; non sono atti meritevoli i bombardamenti dell’aviazione del sud in Istria su zone abitate da italiani; non sono episodi da ricordare nella storia, le uccisioni e i maltrattamenti verso i soldati della RSI uccisi o catturati in azione da reparti badogliani, così come sono da dimenticare le leggi liberticide, vessatorie e discriminanti applicate verso i combattenti della RSI, ancora oggi considerati come invalidi civili, valorosi mutilati degni di rispetto e attenzioni.
Non si può imporre la democrazia come modello comportamentale per poi rinnegarne i principî con atti contrari, così come non è accettabile imporre discriminatorie settarie nei confronti di coloro che a fine guerra si trovarono dalla parte perdente. Si finirebbe per perdere la faccia e rinnegare teorie libertarie applicabili a senso unico.
I soldati della RSI avevano scelto e combattuto sino all’ultimo per cancellare il tradimento badogliano (non il tradimento dei soldati o dei cittadini italiani, vittime ugualmente delle decisioni di pochi irresponsabili); lo avevano fatto per tentare di riscattare l’onore d’Italia infangato dai congiurati. Se altri ritengono che tale comportamento vada cancellato o dimenticato per compiacere coloro che implicitamente li osteggiavano, sappiano che la storia ha condannato i traditori, non i traditi.
Le frasi incriminate fanno parte di un maldestro tentativo inteso a prevaricare la libertà di pensiero (grave per un preteso paladino della libertà) di un amico che in perfetta buonafede aveva iniziato a raccogliere elementi di giudizio, testimonianze e documenti su una possibile pubblicazione sulle vicende postarmistiziali della divisione "Nembo’’. L’intervento, invece, mirava a perpetuare con pesante pressione personale (riteniamo) una pretesa differenza morale e ideologica, di pensiero e di idealità fra i paracadutisti del nord e quelli del sud, che avevano militato nella stessa unità prima e dopo l’armistizio, alcuni dei quali si erano inaspettatamente riscoperti "democratici e antifascisti’’ soltanto a posteriori e temevano il "contagio’’, o quanto meno il pericolo di essere allineati sullo stesso piano fra coloro che avevano accettato supinamente l’armistizio - servendo i Savoia e Badoglio - e gli altri che invece lo avevano rifiutato come immorale e che intendevano opporsi nel tentativo nobile ma difficile di riscattarne col sacrificio l’aspetto d’immagine vilipesa che il tradimento aveva appiccicato all’Italia.
Il problema meritava indubbiamente una precisazione, se non altro per far conoscere meglio la posizione ideale della parte che aveva scelto il nord e il riscatto dell’onore e coloro che invece si erano trovati al sud, non per libera scelta (molti settentrionali avrebbero sicuramente optato per combattere col nord) ma per collocazione geografica, obblighi militari, situazioni contingenti (molti al nord vissero questo problema) sicuramente non per motivazioni ideologiche o scelte politiche, considerando oggettivamente che la "Nembo’’ annoverava fino all’armistizio una larghissima percentuale di personale politicizzato, non tanto nella visione ortodossa e limitata del credente quanto nell’aspetto individuale di far parte di un Corpo d’élite che da sempre (lo si verifica ancora oggi ingiustificamente) ha nell’amor di Patria, nel dovere militare, nel sentimento nazionalista e nella purezza della gioventù nata e vissuta sotto il fascismo, sicuri pilastri di forza morale e affidabilità.
Nessuno di loro conosceva la definizione di democrazia, sapeva di battersi per la libertà, contestava apertamente il fascismo, anche se in quel periodo aleggiava un sottile ma avvertito malessere causato dal crollo del fascismo e dei suoi postulati ideologici; c’era confusione morale fra tutti gli italiani, si accertava la presenza di una stanchezza diffusa fra la popolazione e le FF.AA. causata da avvenimenti interni e dal negativo andamento del conflitto.
Esaminiamo i fatti e accertiamo quanto di vero esisteva nella "Nembo’’ in quel particolare periodo.
Al momento dell’armistizio l’unità frazionata fra Calabria e Sardegna contava circa 10.500 uomini in servizio di cui circa 7.000 paracadutisti, 1.200 militari dei servizi e 2.300 fra artiglieri, carristi e genieri aggregati alla "Nembo’’ per esigenze difensive territoriali. Abbandonarono l’unità i Btg. 3°, 12° e reparti minori dei Btg. 13°/14° passati poi alla RSI; 600 paracadutisti ritenuti politicamente inaffidabili furono internati nel campo di disciplina di Uras (Cagliari); altri 410 sospetti di simpatie fasciste furono radiati dai paracadutisti e assegnati ai Rgt. di fanteria 45° e 236°; altri 300 vennero distribuiti ad altri reparti e una trentina di ufficiali - fra cui il vicecomandante divisionale, il valoroso Folgorino Col. Pietro Tantillo - furono imprigionati, processati e infine prosciolti dall’accusa di "rifiuto per coerenza etica di sparare sui reparti tedeschi’’. Il resto si era sbandato. Una perdita complessiva di oltre 3.000 uomini che riduceva la "Nembo’’ a poco più di 4.000 paracadutisti con alcune centinaia di militari dei servizi.
Non mancarono le uccisioni isolate, gli atti di violenza, le ribellioni aperte. Da una parte si ebbe l’uccisione ingiustificata e involontaria del Ten. Col. Alberto Bechi Luserna-Capo di SM-ucciso da paracadutisti aderenti alla convalida del patto d’alleanza con la Germania. Venne decorato di Movm alla memoria. Gli autori identificati, furono processati nel dopoguerra e condannati a pesanti pene detentive. Dall’altra parte si ebbe l’uccisione ingiustificata ma volontaria del maresciallo Pierino Vascelli - valoroso libico e Folgorino-addetto allo SM divisionale, assassinato da ignoti per punire la sua ostentata fede fascista. Vascelli non ebbe alcuna decorazione, non ebbe un processo poiché i suoi assassini rimasero ignoti, coperti criminosamente dall’omertà. Due pesi e due misure che gridano giustizia e di cui ben pochi conoscono i retroscena.
Non risponde quindi al vero che la "Nembo’’ disponeva nel 1944 di 10 battaglioni paracadutisti, poiché era stata ristrutturata su 5 Btg. e 2 gruppi artiglieria, reparti minori e non superava le 4.000 unità allorché venne inserita nel CIL (Corpo Italiano di Liberazione) poiché altri 250 paracadutisti furono assegnati a reparti logistici (leggasi salmerie della 210a Divisione).
Al nord, invece, furono costituiti 3 Btg. paracadutisti arditi e un Btg. allievi; un Btg. N.P. (Nuotatori Paracadutisti) della Xª MAS e un Btg. paracadutisti della GNR ("Mazzarini’’) per circa 3.800 paracadutisti in gran parte volontari. Nel 1945 si ebbero altre trasformazioni: al sud venne disciolta la "Nembo’’ sostituita col Gruppo da combattimento Folgore con un Rgt. paracadutisti su 3 Btg. nuclei sparsi di paracadutisti fra il Rgt. artiglieria e i reparti genieri. Complessivamente non più di 3.000 paracadutisti oltre ad un centinaio di parà assegnati allo Squadrone F alle dirette dipendenze del comando XIII° Corps inglese.
Al nord, oltre ai precedenti reparti già accennati, si ebbero 2 Cp. autonome e reparti indipendenti composti da complementi, dal personale del disciolto gruppo artiglieria "Uragano’’ e dagli istruttori della scuola di Tradate; dal personale del gruppo speciale sabotaggio "Vega’’ e NESGAP della Xª MAS, dal Btg. NP e dal "Mazzarini’’. Complessivamente circa 4.000 uomini superiori, per organici e reparti costituiti, a quelli del sud. Nessun vantaggio numerico o per organici, quindi, sufficiente per affermazioni fuori luogo e giustificare maggiore importanza psicologica come avventatamente dichiarato dal nostro censore sudista. Anzi, una situazione a favore della RSI.
Alcune precisazioni merita anche l’aspetto morale e giuridico, considerando obiettivamente l’illegittimità del governo Badoglio secondo giuristi e costituzionalisti affermati, nato da un colpo di Stato e mai convalidato dagli enti istituzionali. Semplicemente, come quello della RSI un governo di fatto ma del tutto arbitrario come aspetti decisionali, considerando che era scappato al sud con due soli riluttanti ministri militari (altri 12 ministri erano stati abbandonati a Roma), che si era trovato brutalmente al cospetto delle strutture amministrative create dagli alleati: AMGOT e ACC, cui doveva ubbidienza assoluta senza alcuna recriminazione, col territorio nazionale rigidamente controllato dai funzionari angloamericani (soltanto nel 1944 furono consegnate quattro province pugliesi (Lecce, Bari, Taranto e Brindisi) all’amministrazione badogliana. Badoglio fu costretto persino a utilizzare i comandi militari in assenza di strutture civili per applicare un minimo di legalità e ordine nel caos postarmistiziale, proclamando la legge marziale con i poteri riservati ai militari, con l’assurdo giuridico e offensivo, di emanare ordinanze agli italiani da parte di comandi militari italiani, come avveniva nei territori nemici occupati.
Ciò non impedì allo stesso Badoglio di emanare ordini suicidi per attaccare i tedeschi ovunque, col risultato nefasto di privare i soldati italiani delle garanzie internazionali dovute allo status armistiziale, trasformandoli in franchi tiratori, col risultato di farli uccidere impunemente dai tedeschi per dovute legali rappresaglie, come fatalmente accaduto a Cefalonia, Balcani e Lero. Un totale di 45 mila soldati uccisi ingiustificatamente nel dopo armistizio. Fu necessario l’intervento di Eisenhower a Malta il 29 settembre, che consigliò prima e intimò poi a Badoglio di far cessare le uccisioni, ripristinando lo status giuridico internazionale col dichiarare guerra alla Germania, cosa questa che avvenne il 13 ottobre successivo.
Resta ancora da chiarire il significato di cessare le ostilità "per impossibilità materiale di continuare la guerra "come dichiarò Badoglio all’armistizio, per poi ritrovare miracolosamente volontà e capacità operativa con la proposta di "passare armi e bagagli con gli anglo-americani’’ alla pari, come ingenuamente pensarono i congiurati come fosse la cosa più semplice del mondo, nella convinzione di ritenersi indispensabili e quindi di dirigere il gioco. Gli alleati respinsero invece sdegnosamente ogni ipotesi di alleanza (l’Italia non venne mai considerata alleata dalle Nazioni Unite, ma più dimessamente "nazione cobelligerante’’ di nessuna importanza giuridica e operativa) e l’offerta fatta da Badoglio sulla "Nelson’’ di concedere la "Nembo’’ venne ugualmente respinta (confronta al proposito la testimonianza dell’interprete ufficiale italiano Magg. Carlo Maurizio Ruspoli (fratello dei folgorini Marescotti e Costantino).
Cosa rimane dunque come argomenti per trattare con sufficienza e distacco i reduci della RSI? Riteniamo ben poco, se non il disagio inconfessabile di aver militato agli ordini di simili traditori che hanno meritato il disprezzo delle genti, anche a livello internazionale, e la squalificante etichetta di opportunisti.
Pochi giorni or sono, in una intervista concessa ad un giornalista del "Giornale’’, Indro Montanelli - che non può essere certamente accusato di simpatie fasciste, pur non rinnegando il suo passato politico - disse a proposito di Badoglio, alla domanda di come si sarebbe comportato personalmente l’otto settembre: "Io avrei fatto esattamente quello che fece il maresciallo Mannerheim Presidente della Finlandia, allorché fu costretto per totale impossibilità fisica, morale e materiale dovuta a cinque anni di guerra durissima, a continuare a combattere, chiedendo un armistizio all’URSS che premeva alle frontiere della Finlandia, abbandonando l’alleanza col Tripartito e la collaborazione militare con il Reich. Mannerheim spiegò ai tedeschi la sua situazione e li invitò ad abbandonare al più presto il territorio finlandese, cosa che si verificò regolarmente senza particolari problemi. Disse così, il decano dei giornalisti italiani, e aggiunse che deprecava il metodo usato da Badoglio - subdolo e inqualificabile - le riserve mentali, le occulte intenzioni dei congiurati, i tentativi umilianti di saltare sul carro dei vincitori.
Per concludere, spendendo due parole sull’aspetto morale, comprendiamo e giustifichiamo il dramma personale vissuto da migliaia di italiani rimasti al sud, consideriamo valido il rispetto del dovere militare, non accettiamo certamente l’abuso fatto a posteriori di presentarsi e di considerarsi "combattente per la libertà’’ quasi fosse una etichetta di squadrista antemarcia, come accadde con Mussolini, ma soltanto una convalida artificiosa che significava - se accettata implicitamente - complicità morale. "Ho dovuto ubbidire agli ordini di Badoglio e Messe, ma il mio cuore e la mia fede erano al nord con la Repubblica Sociale Italiana’’ dissero molti veterani del sud. "Il giorno che decisi di disertare venni ferito’’ dichiarò un paracadutista della "Nembo’’ oggi affermato medico a Roma. "Mi legarono ad un albero in prima linea perché mi ero rifiutato di sparare contro i tedeschi. Speravano che questi mi avrebbero ucciso come bersaglio indifeso; invece i tedeschi capirono la situazione e mi risparmiarono’’ disse un veterano del 16° Btg. Molti ancora, opposero pretestuosamente il giuramento fatto al Re come ostacolo morale alla loro adesione; ma nessuno seppe che il giuramento non aveva più alcuna validità poiché era stato infranto per primo dal Re, violando la Costituzione, che parlava del giuramento prestato dal sovrano "nel bene indissolubile del Re e della Patria’’. Ma soltanto pochi obbedirono sino all’ultimo allo spirito di tale giuramento e fra questi il vecchio generale Ercole Ronco, comandante della "Nembo’’, il Col. Camosso folgorino e il Ten. Col. Felice Valletti Borgnini - anch’esso folgorino - che preferirono abbandonare la vita militare al momento in cui Umberto di Savoia abdicò e partì per Lisbona. Gli altri transitarono senza particolari patemi d’animo dalla monarchia alla repubblica, scoprirono una nuova fede e fecero carriera.
Noi, dunque, rappresentiamo per diritto acquisito la continuità ideale fra la gloriosa Folgore di El Alamein e il paracadutismo della RSI: stessi ideali, stessi nemici, stesse conseguenze. Erano gli stessi nemici con l’elmetto a scodella che uccidevano i folgorini nelle sabbie egiziane e massacravano i ragazzini alla difesa di Roma; erano per noi i nemici di sempre, quelli del primo giorno di guerra e dell’ultimo giorno, quando ci sorvegliavano e ci angariavano nei campi di prigionia. Di esempio i folgorini comandanti Izzo e Valletti che combatterono con la Folgore a El Alamein, fianco e fianco con i parà germanici di Ramcke, non sapendo che un giorno si sarebbero scambievolmente uccisi sulla "Gotica’’ nella primavera del 1945, quando Badoglio e le circostanze li avrebbero messi l’uno contro l’altro. Questo mi disse nel dopoguerra Giuseppe Izzo, quando dovette battersi per salvaguardare il suo dovere di soldato contro il suo amico Hubner a Grizzano, un camerata che aveva condiviso con lui, in Egitto, le speranze, l’acqua e le munizioni contro i Tommy’s di Montgomery. A Grizzano si guadagnò una Movm, ma avrebbe sicuramente preferito meritarsela a El Alamein battendosi contro gli inglesi. La sua carriera militare si bloccò a Palermo, nel dopoguerra, allorché rifiutò di stringere la mano di Pacciardi, Ministro della Difesa, da Lui tacciato di "traditore della Patria’’.
Valletti Borgnini si battè coerentemente col suo dovere militare contro il reggimento Bomhler sulla "Gotica’’, pur avendo il padre generale nell’esercito della RSI e il fratello minore Luciano, compagno di corso dello scrivente alla scuola AA.UU. di Varese, giovane sottotenente della GNR (morirà a Coltano per malattia non curata dal detentore USA). Una tragedia familiare, lacerante, in cui il senso del dovere fu più forte degli affetti privati. Ma forse questi fatti non influiscono sulla sensibilità del censore intento a spargere l’apartheid fra i parà, dimenticando che essi furono i primi ad abbracciarsi a guerra finita, riconoscendosi come fratelli, non come nemici o soldati di classe inferiore. Ci auguriamo soltanto che quando in futuro vedrà nelle celebrazioni i paracadutisti della RSI ostentare orgogliosamente l’insegna di "per l’Onore d’Italia’’, comprenda cosa significò per centinaia di migliaia di soldati italiani quel motto e quell’impegno che vide oltre centomila caduti, quarantacinquemila feriti e mutilati, novantamila imprigionati in campi POW fra Algeria, Francia, Italia e USA e nelle patrie galere. Oltre trentamila i processati per "collaborazionismo col tedesco invasore’’ (erano soltanto i nostri alleati con cui avevamo sottoscritto un patto militare nel 1939). A questi dati statistici aggiungiamo il milione e mezzo di italiani epurati e messi alla fame, per completare il quadro; molti i suicidi, migliaia gli emigrati nel mondo, centinaia i dispersi nella Legione fra Indocina e Algeria "mort pour la France’’, un intero popolo diseredato da leggi antifasciste volute dal CLN con l’avallo di Umberto di Savoia che le firmò, mentre i "vincitori’’ si spartivano fraternamente posti di lavoro, ricevevano lucrose pensioni, sussidi, elargizioni, premi di smobilitazione, vitalizi, ricompense (anche al valore militare come accadde per Via Rasella). E gli altri? Alla fame o proscritti come appestati, come decretato dagli alpini partigiani con una vergognosa apartheid nostrana immorale e ingiustificata creata ad hoc.
Di certo Noi non abbiamo vestito i panni del nemico di sempre, non abbiamo avuto l’elmetto a bacinella, poiché era remota per i folgorini, in quanto inaccettabile, l’ipotesi che un giorno altri parà avrebbero vestito all’inglese, sarebbero stati da loro armati e si sarebbero schierati al loro fianco per combattere gli ex alleati ormai nemici, e se capitava (come in realtà si verificherà) anche altri italiani.
Badoglio aveva creato le premesse della guerra civile, provocato una frattura nelle coscienze, creato una divisione dei corpi e delle anime. Poi la nemesi storica si riprese la sua rivincita: Badoglio venne estromesso ed emarginato come cosa inutile ("usa e getta’’ si direbbe oggi); il suo Re, mortificato, umiliato dai vincitori e malvisto dai partiti del CLN andò in esilio in Egitto; suo figlio, strumentalizzato dai politici antifascisti, firmò decine di inique leggi persecutorie contro i soldati della RSI, poi, anch’egli ormai inutile, venne costretto a lasciare l’Italia.
Tutto ciò non toglie nulla al valore dimostrato in battaglia dai paracadutisti del sud poiché nomi di località come Ascoli Piceno e Macerata, Tolentino e Aquila, Chieti e Filottrano, Grizzano e la Herring furono altrettante tappe di una lacerante partecipazione fra il dovere militare e la fede, i sacrifici fatti in difficili condizioni morali. Centinaia i caduti con oltre 400 nominativi, 587 i feriti, 54 i dispersi, centinaia le decorazioni al valore concesse e fra queste soltanto sette quelle elargite da americani e polacchi (nessuna da parte inglese). Non inferiori quelle meritate dai paracadutisti del nord che ebbero 621 caduti, 316 feriti e 620 dispersi e prigionieri, oltre 400 le decorazioni meritate fra cui oltre 80 croci di ferro di 1ª e 2ª classe a riconoscimento del valore da parte dell’alleato germanico sempre prodigo di elogi e ammirazione per i volontari italiani.
Cosa dunque restava della nostra scelta fatta non per tentare di vincere (la guerra era ormai perduta per la Germania) se non per salvare l’Onore d’Italia? Fu soltanto un ideale premio morale emerso luminoso fra tante amarezze e umiliazioni inferte dai vincitori; un valore simbolico, idealizzato che nessuno potrà mai portarci via o permettersi di discutere. Lo abbiamo conquistato duramente con innumerevoli sacrifici e se la Storia ha cambiato in parte, grazie alla RSI, il suo severo giudizio sull’Italia, lo si deve anche a chi fece di tutto per cambiarlo, sacrificandosi nel nome d’Italia, riscattandone l’Onore.
La piccola differenza fra NOI e Loro è tutta qui!

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