giovedì 18 aprile 2013

SERVIZIO AUSILIARIO FEMMINILE: QUELLE DONNE CHE DIFESERO L’ITALIA.

saf 6SERVIZIO AUSILIARIO FEMMINILE: QUELLE DONNE CHE DIFESERO L'ITALIAAdvertisement
Questo articolo è dedicato a Loro, alle Donne Italiane che scelsero e decisero di arruolarsi nel nuovo contingente militare femminile, istituito ufficialmente il 18 Aprile 1944, che divenne parte integrante e pienamente organica dell’Esercito della Repubblica Sociale Italiana.
Per cogliere i motivi ed i sentimenti che accompagnarono una simile scelta, risulta doveroso citare alcuni dei particolari del contesto storico nel quale fiorì questo coraggioso e generoso fenomeno.
Lo sbarco in Sicilia del 10 luglio da parte degli anglo-americani preannunciava ormai uno scenario bellico difficile per l’Italia e portò l’egoismo della monarchia sabauda a destituire il Duce ed il Fascismo, mediante la farsa del voto del 25 Luglio 1943, quando il “gran consiglio” dispose: “l’immediato ripristino di tutte le funzioni statali e l’invito al Duce di pregare il re affinché egli voglia, per l’onore e la salvezza della patria, assumere con l’effettivo comando delle forze armate di terra, di mare e dell’aria, secondo l’articolo 5 dello Statuto del Regno, quelle supreme iniziative di decisione che le nostre istituzioni a lui attribuiscono”.
Il Duce coraggiosamente, responsabilmente ed eticamente quel 25 Luglio (alle ore 17) accettò di presentarsi dal re, senza immaginare che al momento del suo ingresso a Villa Savoia la sua scorta fosse già sotto controllo e che duecento carabinieri fossero stati schierati per controllare l’edificio, catturare il Duce per portarlo via in qualità di prigioniero su di un’ambulanza della Croce Rossa.
In realtà la monarchia stava già stabilendo precisi accordi con gli atlantici, che vennero alla luce nel momento in cui Pietro Badoglio ( nominato dal re, capo del governo dopo la destituzione del Duce) firmò il famigerato “armistizio lungo” agli anglo-americani (era il 3 Settembre 1943 ma venne ufficializzato l’8 Settembre), nel quale venne decretato, oltre a vari punti, che “ l’Italia sarebbe stata priva di qualsiasi libertà e potere in materia di politica estera; essendo un Paese sconfitto (resa incondizionata) ogni suo atto internazionale sarebbe stato soggetto al beneplacito dei vincitori”.
Preso atto di un simile tradimento l’esercito tedesco, attraverso un’azione militare denominata “Operazione Quercia”, il giorno 12 Settembre del 1943 organizzò la liberazione di Benito Mussolini dal luogo di prigionia sito a Campo Imperatore sul Gran Sasso, nel quale era stato recluso per ordine di Pietro Badoglio.
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Di quell’esperienza rimasero le seguenti parole:
« Racconti di fughe e liberazioni, drammatiche, romantiche, talvolta fantastiche, si possono trovare nella storia, ad ogni epoca e per ogni popolo, ma la mia fuga dalla prigione del Gran Sasso anche oggi appare come la più audace, la più romantica di tutte e, nello stesso tempo, la più moderna come metodo e stile. »
(Mussolini “Storia di un anno”)
Già dalla caduta del Fascismo, decretata dal “gran consiglio” il 25 luglio precedente, in molti si erano vilmente discostati dalla militanza al servizio dell’Idea Fascista, posizionandosi opportunisticamente accanto al nuovo governo ed all’incombente progetto anglo-americano (tale fenomeno prese maggiore campo dopo il ”tradimento badogliano”, quando molti uomini abbandonarono i moschetti nazionali e fascisti ripiegando verso il più “comodo” gioco filoatlantico).
Nonostante ciò, dal rinnovato ricongiungimento tra il Duce e Hitler, scaturì il nuovo progetto di tutela di quella parte di Nazione per la quale vi era ancora speranza di difesa, nacque così ufficialmente, il 23 Settembre 1943, la Repubblica Sociale Italiana, alla quale aderirono fermamente e rimasero legati tutti quei Fascisti (militari e civili) che avevano deciso di non tradire il Duce, l’alleato tedesco e l’Idea della Rivoluzione Fascista.
Anche nell’animo di tante giovani donne, fiorì la pressante esigenza di potersi arruolare e, agli inizi di quel 1944, una rappresentanza di 600 donne si riunì nella stessa piazza San Sepolcro di Milano dove erano stati fondati i Fasci di Combattimento del 1919, per chiedere a gran voce di poter accedere nei ranghi dell’Esercito Repubblicano; numerosi Gruppi Femminili Volontari si radunarono anche in molte altre città.
Il primo a cogliere pubblicamente questo fermento femminile fu il giornalista Concetto Pettinato, che il 13 Gennaio 1944 scrisse su La Stampa un vivace articolo, quasi un’adunata, intitolato “Breve Discorso alle Donne d’Italia”. Citava: “ Un battaglione di donne e perché no? Il governo americano si è impegnato a gettare le nostre figlie e le nostre sorelle alla sconcia foia dei suoi soldati d’ogni pelle. Ebbene perché non mandarle loro incontro davvero, queste donne, ma inquadrate, incolonnate, con dei buoni caricatori alla cintola e un buon fucile a tracolla?”
Quelle donne così determinate, ispirate ed emancipate rappresentarono la suprema espressione di quanto il Fascismo NON fosse una forza di ordine maschilista che relegasse la donna ad un ruolo marginale, bensì fu fautore dell’aver esaltato il supremo valore della maternità (come patrimonio da proteggere e da preservare) e soprattutto dell’aver infuso nella coscienza femminile la profonda consapevolezza del proprio valore individuale e sociale, dell’importanza del mettersi alla prova ed impegnarsi con valore nelle proprie vocazioni (come nel caso dei Littoriali Femminili, gare che valorizzarono prove di ogni tipo, dalla sartoria a gare ginniche con tanto di pantaloncini corti e magline aderenti, che per quel tempo risultavano essere “avveniristiche”).
Donne così ispirate e forgiate non poterono accettare l’abbandono dei fucili da parte di quegli uomini che tradirono il Fascismo, così offrirono la loro militanza per andare a ricoprire diversi incarichi e consentire che il maggior numero possibile di uomini potesse dedicarsi al combattimento, ottimizzando così le risorse umane a disposizione.
Dinnanzi ad una simile urgenza logistica, numerose squadre di volontarie vennero addestrate e cooptate all’interno della Guardia Nazionale Repubblicana di Frontiera e nella Decima Flottiglia MAS del generale Valerio Borghese, nonché vennero attivati numerosi Corsi di addestramento in diverse località della R.S.I..
Il Duce riconobbe a tal punto la preziosità di un simile progetto che il 18 Aprile 1944 istituì il Servizio Ausiliario Femminile, mediante un Decreto Ministeriale che venne pubblicato in seguito nella Gazzetta Ufficiale del 1° Agosto 1944.
Benito Mussolini ed Alessandro Pavolini, ne affidarono il comando a Piera Gatteschi Fondelli, scelta che scaturì dal fatto che in quella fase così “scomoda” ella fu l’unica dirigente che si presentò nel dicembre 1943 per sostenere l’importanza della partecipazione femminile quale appoggio alle Forze Armate Repubblicane.
Il Comando Generale S.A.F. trovò sede prima a Venezia fino al settembre 1944, poi si trasferì a Como fino al 26 aprile 1945. Tra i Corsi di Addestramento ufficiali che vennero organizzati, possiamo citarne alcuni: “Italia”, “Roma”, “Brigate Nere” (a Venezia) e “Giovinezza”, “Fiamma” e “18 Aprile” (a Como).
Le divise che indossarono, a parte minime varianti, vennero confezionate in panno grigioverde o kaki, a seconda della stagione; la lettera “A” inserita in una fiamma stilizzata divenne il loro emblema principale, portato sul basco e sul petto. Con l’uniforme in grigioverde i distintivi di grado vennero portati su travette applicate alle spalle; con quella estiva portarono un solo distintivo sul petto a sinistra. Sul bavero le Ausiliarie portarono i Gladi , le doppie”M” o il Fascio Repubblicano a seconda dei battaglioni ai quali vennero assegnate; le stellette di stampo tedesco, vennero fabbricate dalla ditta Lorioli Fratelli di Milano.
Alcuni accenni del Regolamento del S.A.F.? “Gonne sotto il ginocchio, divieto di fumo e di cosmetici, non andare a spasso con i soldati. Il loro aspetto esteriore avrebbe dovuto conformarsi a regole di serietà e di dignità; le Ausiliarie avrebbero dovuto essere coscienti che la gente le avrebbe prese di mira e che i nemici le avrebbero ingiuriate, per tale motivo risultarono essenziali massime garanzie di comportamento sia personale che sociale.
L’arrivo delle Ausiliarie nei Reparti Militari suscitò inizialmente nei Comandanti un bonario scetticismo che in breve si trasformò invece in stima e reciproco rispetto e, soprattutto, nel riconoscimento del valore “pratico e spirituale”del loro contributo .
Alessandro Pavolini, segretario del Partito Fascista Repubblicano, in una lettera del 30 settembre 1944 inviata al capo della Provincia di Como, affermò: “il S.A.F. è una delle istituzioni più serie e utili fra tutte quelle che abbiamo”.
Le Ausiliarie, superata la fase di addestramento , vennero dislocate nelle varie Divisioni e vennero destinate ai Servizi di Assistenza: lavorarono negli ospedali, approntarono i posti di ristoro per i militari, svolsero incarichi di telefoniste, archiviste, dattilografe nei comandi militari, nei distretti e nelle caserme. Altresì vennero impegnate in delicate operazioni di spionaggio nel Corpo delle “Volpi Argentate”.
Con il trascorrere dei mesi, nell’ambito del servizio attivo, il S.A.F. iniziò a subire diverse perdite in occasione delle imboscate dei violenti partigiani e dei bombardamenti da parte anglo-americana.
Alla fine del conflitto la ferocia dettata dagli intenti colonizzatori degli atlantici e dagli egoismi dei rivoluzionari filo-sovietici del CNL, compì anche sulle Ausiliarie azioni di un’efferatezza inaudita; soprattutto le partigianerie furono autrici di ogni sorta di violenze, torture, stupri, esecuzioni sommarie nella piena violazione dei codici della disciplina militare. Gli adepti al CNL si permisero anche di rasare a tantissime di loro i capelli zero, di violarle con atti di ogni tipo e di farle sfilare nude dinnanzi alla derisione di masse invasate di filo-partigiani.
Le più “fortunate”, ovvero le SAF che scamparono alle fucilazioni, subirono lunghi internamenti in campi di concentramento predisposti dai voraci americani dopo il 25 Aprile 1945.
Vogliamo concludere questo ricordo in Memoria delle Coraggiose Donne del Servizio Ausiliario Femminile, nella maniera più dovuta, sentita e sincera, ovvero attraverso le simboliche testimonianze di “Alcune di Loro” e attraverso le parole che altri hanno Loro dedicato.
Onore al S.A.F.!
Saluto-Testamento della Comandante Piera Gatteschi Fondelli (Generale di Brigata del S.A.F. della Repubblica Sociale Italiana) alle sue Ausiliarie:
“Non è facile scrivere le proprie ultime volontà, ma da qualche tempo il mio umore è cambiato. Gli anni ci sono, il mio cuore è stanco di tanti affanni e di tante emozioni. Ringrazio Iddio di avermi dato tanti anni di vita per poter stare vicina a tutti, parenti ed amici che mi vogliono bene.
La mia vita non è stata facile, ma comunque dedicata tutta idealmente alla Patria, al Fascismo nel quale ho creduto fermamente per la sua alta concezione di vita, fatta di giustizia sociale e di onestà. Andare verso il Popolo.
Io credo di aver agito sempre rettamente. Forse sono stata troppo severa nel giudicare gli uomini del mio partito. Ma chiedo oggi perdono a tutti e davvero desidero avere tutti ai miei funerali. Con infinita tristezza scrivo queste cose ma bisogna affrontare la morte con fermezza e coraggio. Iddio sarà il giudice supremo.
Ho cercato sempre di fare del bene disinteressatamente. Ho vissuto il periodo più bello della nostra Patria, il Ventennio di Mussolini. Ebbi l’onore della sua fiducia e credo di aver fatto fino in fondo il mio dovere nel ricoprire gli alti incarichi che mi furono affidati, servando l’Italia con onestà e fervore.
Alle mie Ausiliarie, che ho e sempre avrò nel mio cuore, il mio bene più grande e l’affetto che è rimasto immutato in questi lunghi e travagliati anni”.
Ausiliaria Alda Paoletti (in servizio in qualità di interprete nel Btg. “Montebello”):
“Dissi a mia madre che dovevo andare al Nord. Volevo restare libera. Fascista e libera. Gli americani, aggiunsi, ci avrebbero trasformato in schiavi. Chiesi ai tedeschi se ci potevano portare con loro. Un comandante rispose di sì, disse “abbiamo un debito da saldare con Lei perché ha fatto tanto per i nostri feriti”!. Il 14 Giugno del 1944 caricai su un camion la mamma, la nonna ottantenne e i fratelli, compresa la mia sorellina di tre anni…Avevo solo diciassette anni”. Catturata poi dagli atlantici e rinchiusa nel campo di internamento U.S.P.W.E. 334 di Scandicci, prosegue: (rivolta agli americani) “Non ci perdonavano il fatto di non riuscire a piegarci, di non riuscire a toglierci la nostra dignità. Era intollerabile per loro che un pugno di donne non si piegasse e non chiedesse pietà, anzi affermasse la convinzione della scelta fatta anche dinnanzi alla minaccia di deportazione nei campi di cotone in Africa. Ci volevano vedere piangenti e imploranti, ma questa soddisfazione non se la sono mai potuta cavare. Non riuscivano a capire come in una Italia che si vendeva per una stecca di sigarette o un pezzo di cioccolata potessero esistere persone, e per di più giovani donne, che non accettavano di inginocchiarsi al vincitore.
Prof. Antonio Ruini (Docente Universitario di Storia Contemporanea):
“Le Ausiliarie Italiane hanno dimostrato, in circostanze difficili, il loro spirito di dedizione e di sacrificio. Esse hanno provato, al momento opportuno, che le donne italiane possono prendere il posto con dignità ed efficacia nelle Forze Armate. Dopo la fine della guerra, sebbene fossero vestite dell’uniforme militare e fossero senza dubbio dei legittimi combattenti, ebbero perdite gravissime. L’assassinio di queste donne, che erano spesso giovanette di sedici o diciotto anni, è stato perpetrato in circostanze assai crudeli, dopo violenze, stupri e sevizie e dopo aver dovuto sfilare nude, con capelli tagliati a zero, tra siepi di gente scatenata. Il trattamento fatto alle Ausiliarie dopo la fine della guerra costituisce una delle pagine più nere della …resistenza italiana”.

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