mercoledì 30 ottobre 2013

L’ultimo fascista in città.

Si era messo all’ombra il sudicio. Proprio davanti alla facciata della chiesa, sul sagrato. Bello impettito, in posa, coi baffetti da attore e il fazzoletto rosso e il mitra a tracolla. Il suo  bel mitra americano. Ma gli ha detto male. L’ho messo nel mirino e ce l’ho lasciato, su quel sagrato.

Sono saltato sui tetti contigui, ho fatto quasi due isolati. Per fortuna sono vicini. Sono stanco morto. Non dormo da due giorni. Il fucile comincia a pesarmi. Mi fermo e mi accuccio nel lato interno di un cornicione. Dio come picchia il sole d’agosto. Madonna che sete.

Erano scesi in piazza ad accogliere una pattuglia di americani. Una piccola folla. Dicono che quando arriva il grosso delle truppe sfilano e regalano sigarette e cioccolata. E tutti che gli gettano fiori, che applaudono. Quelli che ieri li hanno bombardati. Gli italiani applaudono tutti. Una piccola folla dicevo, e una pattuglia alleata, e due col fazzoletto rosso e un carabiniere. Boni, anche quelli. Con due fucilate li ho rimandati tutti a casa. La cioccolata domani. Non ho ammazzato nessuno. Io non sparo sui civili. I banditi hanno cominciato a strepitare, a ordinare di di chiudere tutte le finestre e le persiane, poi di aprire le persiane e chiudere i vetri, poi di spalancare tutte le finestre e non affacciarsi. Ma io mi ero già dato.

Ho visto i volantini che abbiamo lasciato. Non avevo fatto in tempo a leggerli. C’era scritto:
“ Noi ritorneremo! Fra breve tempo, noi sferreremo l’offensiva, e sarà in quel momento che gli italiani fedeli alla Patria saranno compensati, sarà in quel momento che i traditori avranno la risposta che meritano. Noi non dimenticheremo nessuno di loro. Osservateli e ricordatevi dei loro nomi e del loro tradimento. Dio punirà i traditori e ricompenserà i fedeli ed i costanti.”
Che risate. Non c’è più nessuno invece. Tutti morti, tutti presi. Altri ancora hanno mollato.
Sono l’ultimo fascista in città.

Doveva arrivare un battaglione di paracadutisti tedeschi. Li hanno bloccati. Hanno le armi anticarro. I rivoluzionari con le armi anticarro pensavo. Americane. Mi veniva da ridere. Ma tant’è, li hanno fermati. Cosi ha detto la radio. Poi hanno ammazzato il radio-telefonista. I volantini del CLN invece dicono che ora i patrioti sono loro e i banditi siamo noi. Il mondo si è rovesciato.

Chissà dove sei Mirella. Ti troverai un tanghero col fazzoletto rosso e di me nemmeno parlerai più. Mi terrai nascosto come si fa con i segreti. Meglio cosi bella mia. Meglio cosi che rapata e in catene. Adiòs, si diceva in Spagna.

C’è un abbaino su tetto, scivolo dentro, qualche santo sarà.  La stanza è vuota. Anche il soggiorno accanto è vuoto. Nell’altra camera invece c’è un partigiano morto. Con un buco in fronte. E una mitragliatrice attaccata alla finestra. Che fortuna, penso. Nel fucile mi rimaneva una palla sola. Mi metto i vestiti del morto. Mi sfilo gli stivali, ho le piaghe sotto i piedi. Mi metto le scarpe del morto. La sua pistola tedesca e la fascia del CLN me li infilo in tasca. Torneranno buoni. Mi sfilo la camicia nera stracciata e macchiata di sangue. Sono in ritardo rispetto  al resto del paese. Ma io faccio per finta.

Mi guardo allo specchio. Ho la barba lunga, gli occhi scavati. I capelli sporchi. Mi siedo sul letto. Non mi sdraio, se no crollo. Nel soggiorno trovo dell’acqua. Bevo, avidamente. Torno in camera e accarezzo la mitragliatrice. È una Breda Modello 37, calibro 8 mm, fino a 460 colpi al minuto, più di un chilometro di gittata. Una scia di rossi spagnoli, di inglesi, di americani e di russi sulla coscienza. Con questa si può fare una bella festa. Due caricatori pieni. Chi si rivede, le sussurro. Mi apposto alla finestra. Aspetto.

Appena hanno sfondato il fronte e si è saputo che i tedeschi non passavano qualcuno ha deciso di arrendersi. Roba da pazzi. Se arrivano prima quelli degli inglesi sei fottuto. Fottuto per fottuto non mi arrendo. Tanto sono morto lo stesso. Sono un franco tiratore dicono. Mica  male come nome.

La finestra da su una piazza interna. È deserta. Arriva una coppia di inglesi. No, sono americani. Un caporale e un soldato. Metto il caporale nel mirino, lo fulmino. Il soldato si guarda intorno smarrito. Corre via urlando nel vicolo. Arriva sgommando una jeep. Ma non li accolgo col fucile. Una tempesta di piombo e di fiamme gli piove addosso dalla mia finestra. Canta mitraglia la rumba fulminante/chè legionari siam di Mussolini. Quando ho finito il primo caricatore non si distingue la jeep dagli occupanti. Il secondo lo lascio li. Ho deciso che tolgo il disturbo. Stanno arrivando i rinforzi. Peccato non poter portar via la Breda. Vorrei baciarla, ma ancora brucia.

Mentre esco dal retro mi fermo ad ascoltare. Stanno sparando come pazzi con le mitragliatrici. Ma contro una finestra vuota. Vado, prima che circondino l’edificio.


“Questo comando dispone: contro i franchi tiratori che sparano dalle finestre è perfettamente inutile rispondere con azioni di fucileria e di mitra dalle strade. Se non è possibile assaltare l’abitato e penetrarvi dentro per eliminare il nucleo nemico, conviene desistere dall’azione mantenendo la vigilanza sull’abitato stesso.”
Ordine del comando del CLN di Firenze, Agosto 1944

Potrei provare a raggiungere il mare, corrompere qualcuno, imbarcarmi per la Spagna. Da li potrei scrivere ai parenti in Argentina. Mi piacerebbe vedere Buenos Aires. Quasi non me lo ricordo com’è una città non bombardata. Ma è più probabile che finisca con una scarica di piombo in corpo e un cartello al collo con su scritto leone di Mussolini. Steso sul selciato. Parecchio più probabile.

Faccio come facevano loro nelle città. Li prendo alle spalle. Sparo e sparisco. Mi mimetizzo. E loro mi cercano. Ora sono io il terrorista. Il mondo si è rovesciato.

Sbuco da un angolo, infilo in un vicolo. Mi confondo tra la folla. Ho il fazzoletto rosso al collo. Entro in un osteria piena di fazzoletti rossi. Qualcuno mi saluta col pugno chiuso. Mi avvicino al bancone. Vino, compagno, dico all’oste. La gente intorno a me parla dei fascisti figli di cagna che sparano dai tetti. Bevo il mio vino.

Mi siedo a un tavolaccio di legno, il bicchiere di rosso è diventato un quartino, non ho altro in corpo, un senso di torpore si unisce alla stanchezza. Mi accascio sul tavolaccio, ma solo per un attimo. Mi faccio riempire di grappa la mia fiaschetta dell’Armata Rossa. Sei stato in sul Don, mi fa uno, che mi aveva già notato. Mica vero. Mi sono fatto la Spagna l’Albania la Grecia il Nord Africa. La Russia me la sono scampata. Ora i russi sono alle porte. I russi di qui. È un ricordo gli dico. Il ricordo di uno che ho steso. Ma questo me lo tengo per me. Esco

Il tipo mi segue a distanza. Da solo. Povero bischero. L’hai fatta la tua. Faccio finta di nulla. Svicolo, infilo in un portone. Aspetto. Lo sento correre. Spunta da dietro l’angolo col mitra spianato. Esco dal portone, sparo. Tre volte. Il tipo è a terra, morto. Mi avvicino. Lo riconosco. C’era il suo ritratto in caserma. È un tipo famoso, un commissario politico. Gli prendo il mitra, uno Sten inglese. Riprendo il portone, salgo su per le scale.

Sfondo la porta più in alto. C’è una donna dentro la stanza, con un bimbo piccolo in collo. Hai ammazzato un partigiano mi dice. Ti ho visto. Sparisci, va via, rispondo. Poi mi affaccio alla sua sua finestra. Non so se da quassù lo Sten ha tiro utile, guardo in basso. Ma stavolta il gioco non riesce. Mentre finisco di girarmi, sulla destra, davanti a me, c’è una finestra più alta. Alla finestra c’è un fucile Garand americano. Mi hanno scoperto. Il Garand fa fuoco.

La fucilata mi ha sfondato la spalla e sbattuto contro il muro. Sono coperto di sangue. Ci siamo. Doveva succedere. Li sento arrivare su dalle scale. Con la sinistra armo il cane della pistola. Si affacciano. Sparo. Li manco. Li sento sbraitare. Una bomba tiragli. Non ce l’hai una bomba? Macché bomba e bomba. È ferito. Arrenditi mi grida. Mi arrendo rispondo. Si affacciano. Sparo.  Sparo ancora. La pistola fa clic.

Entrano e mi riempiono di calci. Hanno gli scarponi militari. Me le danno anche coi calci dei fucili. Cerco di coprirmi la faccia. Non voglio morire con la faccia rotta. Aspetta aspetta dice uno dei due. Se no muore qui. Portiamolo giù, mettiamolo al muro. Mi tirano su bruschi,mi fa un male cane. Sento il sangue in bocca. Forse mi è andata bene. Forse non mi torturano.

Vuoi fumare un ultima sigaretta mi dice un fazzoletto rosso. No preferisco finire la mia fiaschetta di grappa dico. Di fumare ho smesso in Spagna. In Spagna, dice. Mi avevano preso i rossi e  ho fatto voto alla madonna che se mi salvavo smettevo di fumare dico. Stavolta t’ha detto male dice. Stavolta non c’è madonne. Prova a far voto dismettere di bere dice. Sorrido. No, no, dico. Fucilatemi.

Mi hanno chiesto nome e grado, mi hanno chiesto se volevo un processo da un tribunale del popolo. Gli ho detto di sbrigarsi, ma che si processano i soldati? Il mondo si è rovesciato. Mi hanno chiesto se volevo un basco delle Brigate Nere. Si, certo,  non voglio essere fucilato in abiti civili. Mi hanno legato al palo. Ho pensato a qualcosa da gridare come ultime parole, ma mi sono venute in mente solo oscenità. La benda non l’ho voluta. Cerco di guardarli negli occhi ma vedo solo il riverbero del sole sulle canne dei fucili. La piazza è in penombra. Trattengo il respiro. Sparano.

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