venerdì 29 novembre 2013

L’India umilia l’Italia: la NIA rinvia a giudizio i Marò per omicidio con richiesta di pena capitale


Una fonte informativa indiana che sinora si è dimostrata sempre molto attendibile, ha reso pubblica una nota informale, stando alla quale la NIA, l’agenzia antiterroristica indiana, ha tratto le sue conclusioni sul caso Marò ed avrebbe chiesto che essi vengano perseguiti nell’ambito della normativa SUA 2002. Questa, nella sua scarna essenzialità, prevede solo due possibilità: la piena assoluzione degli innocenti, la pena capitale per impiccagione per i non innocenti. Punto, tutto qui, senza alcuna possibilità di infliggere pene graduabili, nè la disamina di contesti nei quali emergano circostanze attenuanti od aggravanti.
Un epilogo agghiacciante, questo, che noi abbiamo denunciato a partire dallo scorso aprile e dato per scontato e ritenuto inevitabile senza precise ed efficaci contromisure, ragione per la quale abbiamo reiteratamente e pubblicamente intensificato le nostre sollecitazioni a chi di dovere, cioè a coloro che tenevano i contatti e si incontravano con gli indiani, perchè agissero nelle modalità più corrette ed incisive per la tutela giudiziaria dei Marò, intervenendo con numerosi articoli sull’argomento. Ne segnaliamo uno dello scorso 4 settembre, poco più di due mesi fa, dal titolo “La NIA blinda le indagini, ora i Marò rischiano la pena di morte” in cui denunciavamo il rischio che per i nostri Marò si prospettasse la richiesta della pena capitale per la brutta piega che avevano preso gli avvenimenti a causa del disinteresse e del pressapocchismo dimostrati dai nostri governanti nei loro incontri con gli indiani, mai condotti con la ferma determinazione che serve in certe circostanze a riaffermare i propri incontestabili diritti ed a pretenderne il rispetto. Ancora lo scorso 14 novembre, mentre la Bonino invitava ad addobbare l’albero di Natale per l’arrivo alle rispettive case dei Marò, e de Mistura gioiva trionfante perchè gli indiani gli avevano assicurato che il processo sarebbe stato rapido (ma nessuna assicurazione sulla sua equità, nè sul suo esito), noi avevamo ancora una volta denunciato questa spada di damocle della pena di morte che pendeva sulla testa di Max Latorre e Salvo Girone, con l’articolo: “La NIA gela gli entusiasmi:Prove schiaccianti contro i Marò. Ora rischiano la pena capitale”. Nella nota delle fonte indiana si può leggere, traducendo dall’inglese: La NIA, che ha condotto l’istruttoria relativa ai due Marines italiani accusati dell’uccisione di due pescatori del Kerala, ha raccomandato che essi siano perseguiti secondo una normativa che preveda l’applicazione della pena capitale. Il rapporto della NIA inviato al MHA (il Ministero degli Interni, ndr), nonostante ripetute suppliche (usano proprio questo termine, ndr) inviate dal MEA (Ministero degli Esteri, ndr) per la considerazione di reati meno gravi. La NIA, il MEA ed il MHA hanno confermato che il rapporto è stato circolato tra gli interessati la tarda serata di martedì scorso (in pratica ieri mattina in Italia, ndr). In precedenza, il ministro degli esteri Salman Khurshid aveva assicurato agli italiani (che ci avevano creduto, ndr) che i Marò non sarebbero stati accusati per reati che contemplano la pena di morte. Khurshid prese questo impegno quando i marines si rifiutavano di ritornare in India lo scorso febbraio. Il collegio di difesa di Latorre e Girone hanno ribadito che i loro rappresentati hanno sparato in acqua a presunti pirati e che non hanno mai sparato contro nessuno deliberatamente per colpire. Il cuore del furioso dibattito (così definiscono i contrasti all’interno del governo sul caso, confrontare articolo Qelsi dello scorso 2 ottobre, ndr) nella fattispecie è rappresentato dalla legge approvata nel 2002 : “The Suppression of Unlawful Acts Against Safety of Maritime Navigation and Fixed Platforms on Continental Shelf” Act (SUA), denominata SUA 2002, la quale dispone di comminare la pena capitale a chiunque causi volutamente la morte di qualcuno in mare. Questo disposto è chiaramente riferito dalla lettera dell’Art. 3 commi (g) ed (i) che recitano molto crudamente che chi causa la morte di una persona va punito con la morte. Il MEA è impegnato a risolvere in qualche modo questo punto per non fare giudicare i Marò nell’ambito di questa (drastica e truculenta, ndr) normativa, anche per non violare l’impegno che si era assunto Khurshid che dovrebbe rappresentare una garanzia con piena sovranità. Ma la NIA ed il MHA la pensano diversamente e ritengono che il file istruttorio prodotto sia del tutto valido e che decidere la sorte dei marines è una prerogativa solo della Corte dell’India. Nella nota viene anche richiamata la disputa giurisdizionale non risolta, nella quale l’Italia rivendica il diritto di essere lei a giudicare i fatti e ad acclarare le eventuali responsabilità dei Marò in un processo. Adesso gli indiani farneticano, asserendo che la SUA si applica nelle acque in cui l’India ritiene di tutelare i propri interessi, che si estenderebbe al di là delle 12 miglia nautiche sino a 200 miglia. Il diritto marittimo e quello internazionale stabiliscono, invece, in 12 miglia il limite delle acque territoriali e sino a 24 miglia una fascia intermedia detta Contiguous Zone, nella quale un Paese conserva alcune prerogative sovrane, per esempio la possibilità di interventi militari per contrastare il traffico di armi o di droga, oppure per contrastare l’arrivo e lo sbarco di clandestini non autorizzati. L’incidente dei Marò, per ammissione degli indiani, è avvenuto a 20,5 miglia dalla costa del Kerala, cioè nella Contiguous Zone nella quale ci pare evidente non ricorra alcuna delle clausole che potrebbe giustificare la giuridsdizionalità indiana sul caso dei Marò. Quella delle 200 miglia è solo un’invenzione che se presa sul serio ed applicata da tutti sic et simpliciter porterebbe a miriadi di irresolubili contenziosi internazionali. Catastrofica, infine, la chiusura della nota, che conferma l’intenzione di NIA e MHA di proseguire sulla strada “legale” del giudizio in ambito SUA, mentre il ministero degli esteri si riserva di procedere ad un approfondimento di ogni aspetto legale prima di prendere una qualsivoglia decisione. Insomma, continueranno a rassicurare Letta, la Bonino e de Mistura in cordiali tea party, mentre i colleghi indiani di Khurshid manderanno al patibolo i nostri Marò. Come abbiamo fatto noi a preconizzare questo esito così minaccioso e terrificante per la sorte dei nostri fucilieri? Disponiamo di una sofisticata sfera di cristallo? Siamo sensitivi? No, nè l’uno, nè l’altro. Molto semplicemente ci siamo affidati al buon senso, ci siamo informati e ci siamo impegnati nell’analisi obbiettiva di dati e notizie che arrivavano dall’India, tutte cose trascurate dai vari Terzi, Bonino e de Mistura, per non parlare delle responsabilità politiche e penali di Monti prima e di Letta poi. Queste ultime derivano dall’avere consentito l’estradizione di indagati in un paese in cui vige la pena di morte, cosa della quale la nostra fatiscenza magistratura condivide la colpa e le responsabiltà per essersi astenuta dall’intervenire, e che è una flagrante violazione del nostro dettato costituzionale. Poi, per esempio, quando si è visto che le posizioni sul quesito di giurisdizionalità erano in netto contrasto, è stato gravissimo che l’Italia abbia subito mollato sul punto, mostrando arrendevolezza e dando un chiaro segnale di debolezza agli indiani. Quando tra due soggetti c’è un contrasto che non si è capaci di risolvere, si va da un terzo, arbitro o giudice che sia, non che si lascia perdere dandola vinta alla controparte senza nessuna decisione in base al diritto di un ente dirimente. Un altro errore imperdonabile stato quello di conferire un basso profilo a un caso che era difficile, spinoso e delicatissimo, molto complicato perchè coinvolgeva il diritto internazionale e la politica. Quando si decide di affidarsi ad un funzionario del ministero degli esteri, ad un burocrate, ad un camminatore di corridoi come de Mistura, che non riveste alcun ruolo politico o di governo, e che quindi non può coniugare la buona volontà sempre dimostrata con l’autorevolezza, poi i risultati sono questi. Ben altra cosa sarebbe stato portare la vicenda dei Marò all’attenzione internazionale, all’ONU, al G8, in Europa, alla Nato ed in ogni altro consesso nel quale fare coagulare un consenso a favore della liberazione dei nostri fucilieri facendo valere le loro buone ragioni. Ma poi va segnalata la dabbenaggine e l’incredibile creduloneria, la pacchiana faciloneria con la quale hanno preso per buone false assicurazioni degli indiani, senza neanche insospettirsi che avessero affidato ad un tribunale speciale che si occupa solo di terroristi e di pena di morte. Nell’artcolo del 4 sette mbre già richiamato, cui si rimanda per ogni ulteriore approfondimento, avevamo scritto : Qualcuno in Italia…..(omissis) sosterrà che nel caso in oggetto dei Marò, sia il primo ministro Singh, così come il ministro degli Affari Esteri Salman Khurshid, abbiano a suo tempo ampiamente rassicurato, anche per iscritto, il governo italiano che essi non corrono il rischio di condanna a morte…. Questa posizione “buonista” ed improntata ad irresponsabile ottimismo delle nostre istituzioni non ha alcun riscontro nei fatti, nè alcun fondamento giuridico. Intanto di quanto ci si possa fidare delle parole, o anche delle lettere, degli indiani lo dimostra la vicenda surreale e kafkiana che stanno vivendo i Marò, detenuti senza uno straccio di indizio della loro colpevolezza e malgrado le numerose prove della loro innocenza. Ma quello che preoccupa sono i risvolti giuridici che una macchina giustizialista mostruosa sta producendo a danno dei due fucilieri del San Marco.
Dopo l’uscita accomodante dei “politici” indiani, funzionari della NIA che appartengono sia alla sfera inquirente, che a quella giudiziaria, a più riprese hanno tenuto a precisare che “in base all’ovvia indipendenza garantita alla magistratura, anche a quella antiterroristica, da qualsiasi altro potere dello stato, la politica esprime pareri che non condizionano e non influenzano le decisioni che il potere giudiziario assume nell’ambito delle proprie competenze ed in piena autonomia di giudizio”……. Ergo, le assicurazioni di Singh e Khurshid non hanno alcun valore e lasciano il tempo che trovano. A contare sono invece le dichiarazioni di funzionari della NIA che hanno fatto propria la decisione dei magistrati del Kerala, confermata e sottolineata con la blindatura dell’istruttoria, di processare i Marò nell’ambito del SUA Act del 2002……per cui se i Marò fossero rinviati a giudizio per omicidio, l’unica pena prevista per loro sarebbe quella capitale per impiccagione. Se veramente la politica indiana avesse voluto scongiurare questo esito letale, avrebbe affidato il procedimento ad un tribunale ordinario di New Delhi. Sic rebus stantibus, qual è il grado di credibilità di quelli che cercano di tranquillizzarci in India ed Italia? Mettendo insieme la pochezza dei nostri rappresentanti con gli elemendi valutazione forniti dagli indiani avevamo previsto tutto quello che sarebbe successo. Quelli che hanno provocato questo disastro umano e giuridico ci hanno accusato di essere esagerati e pessimisti nel lanciare i nostri allarmi, ma ora i fatti ci danno purtroppo ragione. Non è un merito di cui ci sentiamo orgoliosi, tutt’altro, perchè per l’immagine del Paese e per il bene dei Marò speravamo tanto di avere torto marcio. Ed è il pensare che l’Italia sta in mano a gente ed a politici che ci governano con la stessa dabbenaggine ed imperizia con la quale stanno conducendo il caso dei Marò a spaventarci più di tutto, destino di Latorre e Girone a parte.

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