venerdì 17 gennaio 2014

Che Guevara: il mostro dietro il mito



Personalmente coinvolto in non meno di 144 esecuzioni sommarie; favorevole a una guerra nucleare con gli Stati Uniti anche al prezzo di sterminare l’intera popolazione cubana; promotore dei campi di lavoro forzato per “rieducare” i giovani; acerrimo avversario della musica e delle mode moderne. Il vero Che Guevara è anni luce lontano dal mito propagandistico inventato dalla sinistra.
 La Rivoluzione, lo sappiamo, è largamente costruita sulla menzogna. Dalla presa della Bastiglia nel 1789 (in realtà consegnata dai difensori), al ladro di cavalli tramutato in “Eroe dei due mondi”, al sanguinario dittatore sovietico presentato come “good uncle Joe”. Mai, però, un’operazione di maquillage propagandistica è stata così inverosimile e incurante della realtà storica, come l’invenzione del mito di Ernesto “Che” Guevara, il medico argentino divenuto guerrigliero sotto l’egida di Fidel Castro.

I lager castristi

   Una seconda contraddizione è quella di presentare il Che come simbolo delle cause democratiche.
   Tutti sanno che, molto prima che i nazisti li trasformassero in lugubre marchio del loro regime, i campi di concentramento erano già molto diffusi nell’Unione Sovietica. Pochi, però, sanno che fu proprio Che Guevara a introdurli a Cuba.
   Il primo lager tropicale, personalmente creato dal Che, è il campo di lavori forzati di Guanahacabibes, destinato a “rieducare” le persone refrattarie alla rivoluzione. “A Guanahacabibes inviamo coloro che non devono stare in prigione, coloro che hanno commesso reati contro la morale rivoluzionaria, sia gravi che lievi” – affermava il Che in una riunione del Ministero dell’Industria nel 1962.
   Questo lager servì poi da modello per le Unidades Militares de Ayuda a la Producción (Umaps), che giunsero a contenere più di 30mila prigionieri. Leggiamo in un rapporto del 1967 della Commissione Interamericana dei Diritti Umani: “I giovani sono reclutati a forza dalla Polizia e rinchiusi in questi campi di lavoro, senza nessun tipo di processo giudiziario né diritto alla difesa. (...) Questo sistema svolge due funzioni: a) facilitare manodopera gratuita allo Stato; b) castigare i giovani che si rifiutano di partecipare alle organizzazioni comuniste” (8).
   Il Che fu, inoltre, il principale artefice della svolta comunista del regime di Fidel Castro. “Il Movimento 26 Luglio non era di per sé comunista — ricorda Huber Matos, rivoluzionario della prima ora e poi dissidente in esilio — Furono Fidel e il Che a condurre la rivoluzione per le vie del comunismo sovietico”

“Io amo l’odio”

   Ed eccoci alla terza contraddizione: quella di presentare il Che come simbolo dell’idealismo e dell’amore, come talvolta succede anche in ambienti cattolici.
   La famosa immagine del Che che guarda “idealisticamente” verso l’infinito fu scattata da Alberto Korda, fotografo del regime, il 5 marzo 1960 nel corso di un memoriale per le vittime dell'esplosione della nave belga “La Coubre”, ma rimase sconosciuta fino al 1967. Fu l’editore Giangiacomo Feltrinelli a comprarne allora i diritti e a iniziarne la diffusione. L’effige fu utilizzata per la prima volta come simbolo rivoluzionario nel corso di una manifestazione di piazza a Milano nel novembre dello stesso anno.
   La foto del Che è stata trasformata in icona internazionale di pace, amore e idealismo, quasi alla stregua del Mahatma Gandhi e di Madre Teresa di Calcutta. Ma chi conosce il vero pensiero del guerrigliero castrista? Per rinfrescarci la memoria, i due autori brasiliani citano alcuni brani tratti dai suoi «Testi Politici»:
“L’odio come fattore di lotta. L’odio intransigente contro il nemico, che permette all’uomo di superare i suoi limiti naturali e lo trasforma in una efficace, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere. I nostri soldati devono essere così: un popolo senza odio non può distruggere un nemico brutale. Bisogna portare la guerra fin dove il nemico la porta: nelle sue case, nei suoi luoghi di divertimento. Renderla totale”.
“Amo l’odio, bisogna creare l’odio e l’intolleranza tra gli uomini, perché questo rende gli uomini freddi e selettivi e li trasforma in perfette macchine per uccidere”.
“La via pacifica è da scordare e la violenza è inevitabile. Per la realizzazione di regimi socialisti dovranno scorrere fiumi di sangue nel segno della liberazione, anche a costo di vittime atomiche”.

Guerra nucleare

   Tale esaltazione dell’odio e della violenza non restava confinata al campo delle dichiarazioni idealistiche, ma veniva attuata in modo molto concreto. Il Che era favorevole a scatenare una guerra nucleare contro gli Stati Uniti, qualunque fossero i costi.
   Nel 1961 egli si recò in Unione Sovietica per firmare un accordo militare che prevedeva, tra l’altro, l’installazione di ogive nucleari sul suolo cubano, giustificando tale mossa con il proposito di lanciare qualche missile sugli Stati Uniti per provocarne la reazione. “Vorrei utilizzare tutti questi missili, puntati contro il cuore degli Stati Uniti, compresa New York”, dichiarava al London Daily Worker, giornale del Partito comunista inglese.
   Secondo il Che, la causa della Rivoluzione ben valeva il sacrificio della popolazione cubana: “Cuba è l’esempio tremendo di un popolo disposto all’auto-sacrificio nucleare, perché le sue ceneri possano servire da fondamento per una nuova società” (10).
   Bisogna sottolineare che l’accordo era ultrasegreto. Appena sei membri del Governo cubano ne erano a conoscenza. Il popolo cubano era in questo modo collocato a sua insaputa sull’altare sacrificale. Il popolo, non certo i dirigenti. In previsione del conflitto nucleare, Fidel e Raul Castro, insieme al compagno Che Guevara, presero contatto con l’Ambasciatore sovietico per ottenere asilo nel bunker antiatomico sotto l’ambasciata...
   In quest’ottica, la presenza di immagini del Che durante talune Marce per la Pace appare una tragica quanto beffarda ironia...

Esecuzioni sommarie

   Nel 1980, la fondazione Cuba Archive lanciò il progetto “Verità e Memoria”, allo scopo di raccogliere la documentazione sulle persecuzioni a Cuba. Dagli archivi risulta che, negli anni dal 1957 al 1959, cioè dalla guerriglia nella Sierra Maestra fino al primo anno di governo rivoluzionario, Ernesto Che Guevara è stato personalmente coinvolto in non meno di 144 esecuzioni sommarie, alcune eseguite da lui stesso. Fra le vittime c’erano colleghi guerriglieri non sufficientemente motivati, soldati e poliziotti, giovani e, soprattutto, oppositori politici.
   È tristemente noto, per esempio, il massacro di decine di civili nella città di Santa Clara, espugnata nel 1958 dalle truppe rivoluzionarie al comando di Che Guevara. Poi, come Procuratore del Tribunal Revolucionario di stanza al Forte La Cabaña, nel solo anno 1959, egli ordinò l’esecuzione di 104 dissidenti. Questo stando ai documenti scritti. I testimoni poi parlano di almeno 800 morti in quel periodo. “Non possiamo ritardare la sentenza —incitava il Che ai suoi collaboratori — Siamo in rivoluzione. Le prove sono secondarie”.
   Non possiamo, però, negarle al Che una certa coerenza nel suo delirio sanguinario. Già nel 1952, nel famoso «Diario dalla Motocicletta» — raccolta di annotazioni fatte nel corso di un viaggio in moto per l’America del Sud — egli scrisse: “Bagnerò la mia arma nel sangue e, pazzo di furore, taglierò la gola a qualsiasi nemico che mi capiti fra le mani. Sento le mie narici dilatarsi con l’acre odore della polvere da sparo e del sangue dei nemici morti”.
   Non possiamo nemmeno negargli una rozza franchezza. Dopo il suo famoso discorso all’Assemblea Generale dell’ONU, il 12 dicembre 1964, egli dichiarò: “Fucilazioni? Certo! Noi abbiamo fucilato, fuciliamo, e continueremo a fucilare finché sarà necessario. La nostra lotta è fino alla morte!”.

Frivoli? Idioti utili?

   Via di questo passo, i due giovani giornalisti brasiliani vanno avanti per quasi cinquanta pagine, esibendo ben sessantanove fonti a corredo delle loro affermazioni.
   A questo punto, però, siamo autorizzati a domandarci: ma coloro che indossano le magliette del Che e, o appiccicano le sue immagini su muri, moto, macchine e qualsiasi superficie serva all’uopo sanno, o ignorano, tutte queste cose?
   Frivoli? Idioti utili? Giocattoli nelle mani della propaganda comunista?
   A voi la scelta…



 

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