sabato 25 gennaio 2014

Lo Stato - La "Romanità"

In linea di principio, nella dottrina politica fascista ogni ideologia societaria e democratica fu superata. Allo Stato venne riconosciuta una preeminenza rispetto a popolo e a nazione, cioè la dignità di un potere sovraelevato solo in funzione del quale la nazione acquista una vera consapevolezza, ha una forma e una volontà, partecipa ad un ordine supernaturalistico. Mussolini ebbe ad affermare (1924): «Senza lo Stato non vi è nazione. Ci sono soltanto degli aggregati umani, suscettibili di tutte le disintegrazioni che la storia può infliggere loro» - e: «Solo lo Stato da l'ossatura ai popoli» (1927). Aggiunse, precisando: «Non è la nazione a generare lo Stato. Anzi la nazione è creata dallo Stato che da al popolo... una volontà e quindi una effettiva esistenza». La formula «Il popolo è il corpo dello Stato e lo Stato è lo spirito del corpo» (1934) riporta, se adeguatamente interpretata, all'idea classica di un rapporto dinamico e creativo fra «forma» e «materia» (corpo), lo Stato è la «forma» concepita come forza organizza-trice e animatrice, secondo l'interpretazione data a «materia» e «forma» dalla filosofia tradizionale, partendo da Aristotile.

Viene dunque respinta la concezione svuotata di uno Stato il quale dovrebbe limitarsi a tutelare le «libertà negative» dei cittadini come semplici individui empirici, a «garantire un certo benessere e una relativa pacifica convivenza comunitaria», in essenza riflettendo o seguendo passivamente le forze della realtà sociale e economica concepite come quelle primarie. Così si è anche all'opposto dell'idea di una pura burocrazia della «pubblica amministrazione», secondo la immagine ingigantita di ciò che può essere la forma e lo spirito di una qualche società privata a fini puramente utilitari.

Quando presso questa concezione di base il fascismo affermò il trinomio ~T~ «autorità, ordine e giustizia», è innegabile che esso riprese la tradizione che formò ogni più grande Stato europeo. Si sa poi che il fascismo rievocò, o cercò di rievocare, l'idea romana come suprema e specifica integrazione del «mito» del nuovo organismo politico, «forte e organico»; la tradizione romana, per Mussolini, non doveva essere retorica e orpello, ma «un'idea di forza» oltre che un ideale per la formazione del nuovo tipo di quell'uomo che avrebbe dovuto avere nelle sue mani il potere. «Roma è il nostro punto di partenza e di riferimento. È il nostro simbolo, è il nostro mito» (1922). Ciò attestò una precisa scelta delle vocazioni ma anche una grande audacia: era come un voler gettare un ponte su uno iato di secoli, per riprender contatto con l'unico retaggio veramente valido di tutta la storia svoltasi su suolo italiano. Una certa continuità positiva però non si stabilì che limitatamente al significato dello Stato e dell'autorità (dell'imperium, in senso classico) e anche in relazione all'etica virile e ad uno stile di durezza e di disciplina che il fascismo propose all'Italiano. Un approfondimento delle ulteriori dimensioni del simbolo romano - dimensioni spirituali in senso proprio, di visione del mondo - e la precisazione della romanità a cui propriamente ci si doveva riferire, nel fascismo ufficiale non ebbero però luogo; gli elementi che potevano intraprenderlo o erano inesistenti o non furono utilizzati.     



di Julius Evola

 

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