domenica 23 marzo 2014

Il 23 marzo del 1919, in Piazza San Sepolcro, Benito Mussolini fondò i Fasci di combattimento.

 

 



Il 23 marzo del 1919, in Piazza San Sepolcro, Benito Mussolini fondò i Fasci di combattimento, che rappresentavano l'evoluzione dei precedenti Fasci di azione rivoluzionaria. Fra i circa cento presenti nella sala dell'Alleanza industriale e commerciale, spiccavano i nomi di alcuni noti personaggi: Michele Bianchi, Ferruccio Vecchi, Filippo Tommaso Marinetti e altri. Il programma di questo nuovo movimento rappresentava un misto di nazionalismo, antisocialismo e anticapitalismo; un movimento quindi buono un pò per tutti. Nelle sue file militavano infatti ex combattenti, studenti, contadini, rappresentanti della piccola borghesia e industriali. I punti del programma, vennero raggrupati da Mussolini in quattro grandi problemi: la politica, il problema sociale, quello militare e il problema finanziario. Sotto il problema politico, era indicato un punto dedicato ai giovani e che riguardava l'abbassamento a 18 anni per gli elettori e a 25 anni per poter essere eletti deputati. Veniva quindi una proposta di abolizione del Senato, i cui membri venivano nominati direttamente dal re e una politica estera più dinamica, che contrastasse quella vigente, che secondo Mussolini tendeva a stabilizzare l'egemonia delle vecchie potenze plutocratiche. Il problema sociale era poi particolarmente sentito, e ad esso vennero dedicati ben 10 punti del programma: per quanto riguardava la classe operaia, venivano accolte le giuste rivendicazione per una diminuzione delle ore lavorative, che avrebbero dovuto essere portate a otto; per una partecipazione dei lavoratori al funzionamento tecnico delle industrie; per un'affidamento ai sindacati della gestione delle industrie stesse e dei servizi pubblici, ed infine un riordino dei trasporti e la modifica dell'età pensionabile, che sarebbe stata vincolata all'usura dovuta al tipo di lavoro svolto. Anche i contadini ed i reduci erano citati in questa parte del programma: veniva infatti previsto l'obbligo ai proprietari di coltivare le terre, precisando che i terreni incolti sarebbero stati espropriati e ceduti alle cooperative contadine, favorendo soprattutto i reduci di guerra; veniva inoltre previsto un intervento contributivo dello Stato per la costruzione di case coloniche. Per quanto riguardava la scuola, era previsto che lo Stato avrebbe dovuto inserire nel proprio bilancio, i fondi necessari a coprire le spese per garantire l'istruzione scolastica obbligatoria. Riguardo alla burocrazia, la riforma prevedeva il decentramente del personale e una sana epurazione che avrebbe garantito l'ingresso di elementi più idonei e produttivi. La questione militare comprendeva un unico punto nel quale, facendo riferimento alla politica estera futura, si sosteneva la necessità di periodi di breve durata ma frequenti, di addestramento militare, in modo tale da poter fare dell'Italia una Nazione pronta a sostenere eventuali conflitti nel modo più idoneo possibile. La parte del programma riguardante la finanza, risultava senza dubbio la più provocatoria; nei suoi punti si citavano fra l'altro: una forte imposta straordinaria sul capitale, che avrebbe dovuto avere un carattere progressivo, una vera e propria espropriazione parziale di tutte le ricchezze; il sequestro dei beni appartenenti alle congregazioni religiose e la chiusura delle mense vescovili, viste come una grande fonte di passività per la Nazione e un privilegio a favore di pochi; una revisione di tutti i contratti sulle forniture di guerra, ed il sequestro dei 3/4 dei profitti di guerra. I punti del programma non furono dei principi assoluti, anzi, essi venivano, a seconda delle necessità del momento, o in base alla platea alla quale Mussolini si rivolgeva, ribaditi o elusi, in modo tale da aggregare al movimento sempre più larghi strati della popolazione.

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