domenica 23 marzo 2014

La storia negata: il silenzio in Italia sui crimini comunisti

I comunisti esisteranno finché non sarà fatta piena luce sui loro crimini occultati.

Di Paolo CAROTENUTO.

Ha riscosso una grande partecipazione di pubblico il convegno che si è tenuto a Napoli sui crimini negati del comunismo in Italia organizzato dalla Fondazione Campi Flegrei. Grazie anche a relatori di livello assoluto, presenti giornalisti del calibro di Dario Fertilio e Giancarlo Lehner, oltre agli apprezzati De Simone e Nardiello del quotidiano Il Roma, sono stati presentati volumi di grande valore volti a rimuovere quel silenzio non casuale che è calato su pagine ancora oggi inesplorate della nostra storia. In sostanza non si tratta di riscrivere la storia attraverso un'azione revisionista, ma si tratta di scoprire eventi che fino ad oggi sono stati volutamente occultati, manipolati e falsificati. Ma chi è che ha intrapreso questa scientifica e metodologica azione di rimozione del passato? E' stata la domanda alla quale si è cercato di dare una risposta. Innanzitutto con Dario Fertilio, giornalista del Corriere della Sera ed autore de La morte rossa (edito dalla Marsilio), per il quale si sono dette pseudo-verità per occultare la realtà e l'essenza dei fatti. Se alla parola lager corrisponde la definizione di campo militare per addestramento militare, se alla parola foiba corrisponde il significato di cavità carsica più o meno profonda prodotta dalle acque correnti, a quella di gulag si è attribuita la corrispondente traduzione di "campo di rieducazione".
Due sono gli obiettivi perseguiti in questo modo. Dimenticare, relegare "tra parentesi" esperienze che magari un domani possono consentire di riprendere un discorso lasciato in sospeso; negare, perché di fronte alla negazione dei crimini del comunismo, è più semplice elevare simboli e bandiere di Lenin o di Che Guevara, ovvero simboli di morte e umiliazione dei diritti fondamentali dell'uomo e della sua dignità.

Il comunismo ha agito in maniera molto simile in tutti i Paesi nei quali ha raggiunto il potere, dall'Unione Sovietica alla Jugoslavia, dai paesi dell'Europa dell'Est all'Albania, da quelli dell'Asia sovietica a quelli dell'America latina, ed ha riprodotto quasi sempre gli stessi scempi che nell'arco di pochi anni si sono compiuti per mano dei regimi nazionalsocialisti. Ma la differenza che ha contraddistinto il comunismo dal nazionalsocialismo è nella menzogna di fondo di cui il comunismo si è dipinto, che pur mantenendo la sua identica forza distruttiva, si travestiva da redentore. Per questo i genocidi comunisti devono essere ricordati e non dimenticati o nascosti come si è fatto fino ad oggi. Alle date del 27 gennaio ed ora del 10 febbraio, che lasciano sovente spazio alla retorica che accompagna la memoria, è doveroso elevare al medesimo rango quella del 7 novembre, anniversario della rivoluzione bolscevica e che è stata proposta come Giornata della memoria delle vittime comuniste (Memento Gulag) grazie all'impegno caparbio dei Comitati per le Libertà (www.libertates.org), di cui lo stesso Fertilio è presidente e fondatore.

A chi ritiene l'anticomunismo come un disco rotto, ha replicato Armando De Simone, autore con Vincenzo Nardiello dell'apprezzato volume di ricerca Appunti per un libro nero del comunismo italiano (ed. Controcorrente), che ha ricordato quale sia lo scandalo che si è perpetrato fino ad oggi. Il vero tradimento degli intellettuali è testimoniato proprio da un convegno come quello di Napoli, dove a parlare di un simile argomento sono stati quattro "giornalisti" e non storici o studiosi. Nessun professore ci ha raccontato di 200 milioni di persone morte, nessuno ha documentato questa che è una storia negata. Ed è lecito indagare sulle ragioni per le quali chi sapeva ha preferito tacere.

Fino ad oggi non è ancora stato compiuto alcun processo al Partito comunista italiano e questo tema non lo si pone nemmeno oggi, un periodo nel quale retoricamente si fa richiamo spesso al dovere della memoria. Ma a quale memoria ci si fa appello e perché questa deve essere pilotata, circoscritta? Per questo non abbiamo bisogno di mentitori professionisti, ma di comunisti veri, quelli come Massimo D'Alema che in Unione Sovietica c'è stato 47 volte; abbiamo bisogno dei Fassino, che è stato segretario della più grande federazione comunista italiana, quella di Torino, e che oggi si definisce riformista semplicemente perché al congresso dei Ds ha ricordato la figura di Bettino Craxi come una delle più grandi del socialismo europeo. E vogliamo sapere dove sono finiti i piani di insurrezione contenuti in 5 valigie in pelle verde, laddove addirittura Soave ha ammesso che questi piani furono organizzati fino alla fine degli anni '80. Stiamo parlando di attentati alla costituzione, reati imprescrittibili, sui quali nessun magistrato ha voluto indagare. Come è stato possibile tutto questo?

Stavolta è Vincenzo Nardiello che prova l'impresa di dare una spiegazione, evidenziando come la storia sia stata messa a servizio di un progetto politico, visto che qui non si parla di fatti interpretati male, non conosciuti o posti correttamente, ma di pagine che sono state espulse completamente dal dibattito storico. Pagine che nessuno storico si è preso la briga di raccontare, come quella che vide Palmiro Togliatti invitare ad accogliere i titini come liberatori e di realizzare uno scambio tra Gorizia e Trieste. Perché tutto questo? Una prima risposta è rinvenibile nel fatto che una parte degli storici erano di fatto dirigenti o esponenti comunisti. Ma questi da soli non erano sufficienti per portare a compimento questa impressionante opera mistificatoria. E qui ci viene in soccorso Ernesto Galli della Loggia che recentemente ha ammesso quanto gli storici e gli intellettuali moderati si siano piegati al volere dei comunisti che non gli chiedevano di essere comunisti, ma semplicemente di non essere anticomunisti.
Immaginate che cosa sarebbe accaduto, ad esempio, se un agente della CIA avesse seguito Aldo Moro, il segretario del più grosso partito italiano, fino al giorno prima del suo sequestro. E' successo, invece, che sia stato pedinato da un agente del Kgb come dimostrano i documenti ufficiali provenienti dagli archivi dell'Unione Sovietica. Non patacche, ma prove scritte, atti ufficiali, drammaticamente sconcertanti sui quali continua ad aleggiare un silenzio che si fa sempre più assordante.
Dunque oggi ha senso rileggere la storia nel tentativo di depurarla da questi inaccettabili condizionamenti che hanno fatto sì che alcune verità non venissero alla luce? Ed ha senso dichiararsi ancora anticomunisti, oggi che il Muro di Berlino è crollato ed il regime sovietico si è dissolto?
Ebbene sì, un simile comportamento è prima di tutto un dovere, perché, come ci ricorda Giancarlo Lehner, autore de La Tragedia dei comunisti italiani, le vittime del Pci in Unione Sovietica (edito per la collana le Scie della Mondadori), essere contro il comunismo non è una contingenza politica, ma è un principio ed un dovere morale. E ricorda anche che il comunismo non lo si combatte con l'anticomunismo urlato ma semplicemente raccontando i fatti e ricercando la verità. Del resto basta riportare alcune chicche presenti nel libro del giornalista e storico, direttore de Il Giusto Processo, per rendersi conto di quanto sia stato enorme il lavoro di dissimulazione prodotto fino ad oggi: in una lettera inviata al suo comando firmata da Giorgio Bocca, all'epoca attivista partigiano, è possibile leggere il suo sconcerto per taluni eccessi di partigiani comunisti, come quelli di un comandante partigiano di nome Rocca "specializzato ad uccidere personalmente i prigionieri fascisti squartandoli a colpi di pala". Un Bocca allibito si domandava fino a che punto fosse lecito arrivare. Questo valoroso partigiano, ovviamente, non ha avuto alcun problema per i suoi atti, se non una medaglia d'oro.

Ma se un tempo erano pagati per disinformare, oggi a sinistra si segnalano professori per la loro imbarazzante ignoranza. E' di pochi giorni fa un articolo pubblicato sul quotidiano La Repubblica di Tabucchi, autore tanto in voga e pompato dall'intellighenzia di sinistra, che tranquillamente si è preso il lusso di dichiarare che Gramsci fosse morto in carcere.
E' evidente che dinanzi a simili mistificazioni si comprende anche perché sia abilmente taciuto da questi "professionisti della menzogna" la vera essenza del patto Molotov-Ribbentrop che nel 1939 ha sancito la nascita dell'asse nazi-comunista e che diede il via libera a Hitler per l'eliminazione degli ebrei. Fu in quel frangente che Stalin, in segno di concordia, si permise di offrire in "regalo" ad Hitler tutti gli ebrei internati nei gulag. Questo è un dato storico, provato, inconfutabile: la persecuzione degli ebrei partì con il benestare di Stalin, dei comunisti. Innegabile a tal punto che nei libri di storia non v'è menzione alcuna. All'epoca, inoltre, Hitler non doveva di certo apparire come un mostro dai "benpensanti rossi", visto che esiste un saggio vergognoso di Palmiro Togliatti per il quale il patto fu la conseguenza dell'aggressione ai danni della Germania compiuta da Francia e Gran Bretagna.

Possiamo continuare ricordando la storia di don Pietro Leoni che tornò in Italia dopo essersi fatto 10 anni di gulag accusato di un reato che nell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche era assolutamente vietato: avere rapporti col Vaticano. Certo che per un prete sarebbe stato davvero ostico non averne, ma la tragedia per quest'uomo si materializzò con il suo ritorno nel suo paese natale, Bologna. Qui cominciò a raccontare la sua esperienza, la verità sull'URSS e su come si viveva. Roba da far impazzire il Pci, tanto che i "compagni" italiani arrivarono a dire che il vero prete fosse morto, che quello che parlava era solo un impostore o un sosia. E cosa fece Sacra Romana Chiesa? Pensò bene di spedirlo in Canada perché "era disfunzionale alla strategia del dialogo" intrapresa dal papa buono.

Ma vi è un documento storico che vale più di mille altre storie raccontate, che inchioda definitivamente Palmiro Togliatti alle sue responsabilità. Sono trascorsi 50 anni di dibattiti, riflessioni e scontri tra gli storici nello stabilire se Togliatti avesse o meno fatto qualcosa in favore degli italiani comunisti arrestati, perseguitati e trucidati in URSS. In realtà si è trattato di un falso problema, perché il vero dilemma è stabilire quanti siano stati gli italiani consegnati direttamente da Togliatti ai sovietici.
In un documento datato 25 dicembre 1936, catalogato come «segretissimo», al terzo paragrafo c'è una lista di tredici comunisti italiani, fra cui Vincenzo Baccalà, bollati come «elementi negativi». Accanto ai nomi di Rossetti (pseudonimo di Baccalà) e di Modugno, c'è una nota: «troskista, deportare», E in fondo al testo, la scritta: «Soglasen» («Sono d'accordo»), firmato «Ercoli», ovvero il nome in codice di Togliatti. Da notare un particolare agghiacciante: «Soglasen» era la formula di ratifica dell'incaricato dell'Nkvd che prendeva visione dei mandati di cattura e degli ordini di perquisizione. Togliatti, dunque, anche nel lessico, il codice ristretto dei carnefici, appare tutt'uno con la polizia segreta sovietica. Del resto, come poteva non essere d'accordo, visto che le prime denunce contro quei poveri compagni di base erano partite proprio dai dirigenti «vigilantes» del PCd'I?

Ma esistono ancora i comunisti in Italia? Forse sono cambiate le sigle, ma nei fatti anche il più anticomunista (sua dichiarazione) dei comunisti della storia italiana, Walter Veltroni, spesso ne ha subito la cultura e le metodologie. Basta riprendere l'Unità diretta dall'attuale sindaco di Roma dell'11 novembre 1993, a pagina 10, dove appare un trafiletto in cui si comunica la morte del compagno Penco, e si legge "vecchio militante comunista, perseguitato politico per le sue idee di libertà e di socialismo". Peccato che Veltroni abbia scordato di aggiungere un particolare: Penco fu sì un perseguitato politico, ma lo fu da suoi compagni facendosi pure 14 anni nei gulag sovietici. Certo, un particolare irrisorio per chi è cresciuto nella cultura della menzogna.

Ebbene si, i comunisti esistono ancora e condizionano tuttora la ricerca della verità storica se è vero che tra i consulenti della Commissione parlamentare sul dossier Mitrokhin vi sia anche Giulietto Chiesa, corrispondente dell'Unità dall'80 all'88 che non veniva pagato dal suo giornale, ma dal Comitato della mezzaluna e croce rossa sovietica. Pagato in sostanza da Breznev. Ebbene, Chiesa che veniva pagato tre volte più del direttore della Pravda, con casa, automobile, spese per i viaggi, vacanze garantite, tutte a carico del valoroso stato sovietico, era il giornalista italiano che doveva informare delle cose sovietiche.
Dinanzi ad un così illuminante scenario, riteniamo di poter chiudere rimarcando il messaggio che Giancarlo Lehner ha lanciato: il lavoro serio dello storico non è quello di usare aggettivi o invettive, ma cercare dati, documenti e fatti. Questo è il principio da seguire per chi vuole rendere giustizia alla verità ed alla storia del nostro paese e che 60 anni di storia repubblicana non sono stati sufficienti a garantire.

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