mercoledì 19 marzo 2014

Pietro Calistri, 'morire per una divisa'

Lungolago di Dongo, 28 aprile 1945: la furia cieca dei partigiani uccide indiscriminatamente

L'immagine sopra riprodotta è un'opera del pittore Alberto Parducci.

Arena: 'Cadeva in tal modo tragico e ingiusto il valoroso e pluridecorato Comandante della 76esima squadriglia caccia'
Quando la furia cieca non conosce confini accadono eventi turpi che - forse perché scomodi da rievocare - sembrano cancellati dalla storia. Quando si parla dei partigiani e della resistenza c'è sempre chi si spertica nel tessere le lodi di personaggi che vengono definiti 'eroi', forse non sapendo - o avendo dimenticato o, peggio, facendo finta di non sapere - che alcuni di costoro si sono macchiati di colpe atroci, di cui pochi parlano e scrivono, però.
Oggi il distacco temporale con i fatti dell'aprile del 1945 è tale che, forse, la storia di quel periodo si può osservare con maggiore nitidezza ed è, ci si augura, forse finito il tempo della demagogia e delle verità a senso unico.
Guardare la storia con occhi sgombri da odi lontani significa prendere coscienza che sul lungolago di Dongo, in quel 28 aprile 1945, il plotone di esecuzione dei partigiani spara contro uomini innocenti, come il capitano Pietro Calistri.
'Tra i quindici ... - scrive Mario Cervi su Il Giornale il 31 agosto 2013 - ... il capitano pilota dell'aeronautica militare Pietro Calistri - del quale ancora oggi non si capisce perché sia finito a quel modo - e il segretario del Duce, Luigi Gatti...'.
'Egregio dott. Cervi - scrive Maria Cristina Calistri a Mario Cervi qualche tempo dopo - sono la figlia del capitano Pietro Calistri, citato nel suo articolo del 31 gennaio. Mio padre, pilota da caccia, citato in numerosi libri di guerra, pluridecorato, aderì alla RSI rispondendo alla chiamata del colonnello Botto, suo comandante dai tempi di Campoformido. Mio padre - continua la donna - a causa della sua divisa venne scambiato per il pilota personale del Duce e, nonostante i dubbi degli stessi partigiani convinti che quell'ufficiale non avesse nessun coinvolgimento con il fascismo. L'arrivo di Audisio fu decisivo, l'ordine da Milano era di ucciderli tutti. Diversi libri hanno parlato della tragica fine di mio padre, della sua morte affrontata con coraggio e dignità, del suo appuntamento con il destino ...'.
Insomma, i partigiani hanno capito che Calistri non c'entra niente, ma l'ordine 'era di ucciderli tutti'. Del resto la stessa cosa avviene con Marcello Petacci, che muore solo perché fratello di Claretta. O forse per i suoi presunti contatti oltreconfine, ma questa è un'altra storia.
'Nino Arena - scrive ancora Maria Cristina Calistri a Il Giornale - in un suo vecchio libro conclude così la parabola umana di mio padre: cadeva in tal modo tragico e ingiusto il valoroso e pluridecorato Comandante della 76esima squadriglia caccia, che aveva operato a lungo in Libia, su Malta e in Sicilia dal giugno 1940 al settembre 1943. Come scrive Sergio Gervasutti - conclude la figlia del capitano - a quei tempi si poteva morire anche per una divisa'.
Nella risposta di Cervi si può leggere: 'gli scambi tragici contrassegnarono le ore fosche della mattanza'.
Insomma a decidere la sorte del capitano Pietro Calistri è la sua uniforme dell'aeronautica, che lo rende percepibile come pilota personale del Duce. Che poi, se pure così fosse, meriterebbe dunque di morire?
Pietro Calistri era nato a Viterbo nel 1914 ed aveva vissuto con onore la sua scelta di essere un soldato. La fine a Dongo e lo scempio di piazzale Loreto non li meritava. Nessuno li meritava, in verità. I cadaveri in quella piazza di Milano vengono talmente maltrattati dalla furia popolare che il corpo di Pietro Calistri non viene riconosciuto. All'indomani della sciagurata giornata, è uno dei tanti 'seppelliti senza nome'. Solo nel settembre dello stesso anno 1945, dalle annotazioni del verbale che descrivono l'abbigliamento e ciò che resta dei connotati fisici, viene 'riconosciuto'. Oggi riposa a San Martino al Cimino.
La procura di Como avviò un'indagine: al centro dell'attenzione, oltre a Claretta e Marcello Petacci, c'è Pietro Calistri. Per nessuno dei tre, infatti, ci sono coinvolgimenti tali da giustificarne l'assassinio. Come è tristemente noto, tutta la vicenda di quel 28 aprile, viene archiviata. 'Atto di guerra': si chiama così l'assassinio a sangue freddo di Claretta e Marcello Petacci e di Pietro Calistri.
Per la cronaca: il vero pilota del Duce si chiama Virgilio Pallottelli.
 
Di Emma Moriconi.
 

Nessun commento:

Posta un commento

Commenti dai camerati.