martedì 6 maggio 2014

Intervista impossibile a Nicola Bombacci.

                                                
                                                            
NICOLA BOMBACCI
IL FASCIOCOMUNISTA


Eppure giorno verrà in cui il soviet,
permeandosi di spirito gerarchico,
e la corporazione, di risoluta anima
rivoluzionaria, si incontreranno
sopra un terreno di redenzione sociale.



Di Miro Renzaglia.
Nicola Bombacci (Civitella di Romagna, 24 ottobre 1879 – Dongo, 28 aprile 1945) muore mani in tasca e sorriso sereno, gridando: “Viva Mussolini… Viva il socialismo…”. Nel frattempo, fra la nascita e la morte per fucilazione, compie un tragitto che solo occhi fuorviati da mal fedeli interpretazioni ideologiche possono considerare incoerente. Da socialista, sposa la causa delle masse proletarie vessate dall’insorgente capitalismo industriale e dalla cancrena dei latifondisti terrieri, fino a diventare segretario del Partito socialista, nel 1918. Da socialista deluso e fuoriuscito, è tra i fondatori, con Gramsci e Bordiga, del Partito comunista d’Italia, nel 1921. Come comunista non dogmatico si alza dal suo scranno parlamentare, lui onorevole del PCd’I, per plaudire l’iniziativa, colà annunciata dal suo vecchio sodale socialista, ora capo del governo di coalizione, Benito Mussolini, circa l’intenzione italiana di riconoscere (prima a farlo nel mondo) lo stato della Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, come poi effettivamente avvenne. Guadagnandosi, il Bombacci, gli sguardi storti ed ottusi dei suoi compagni di partito. Emarginato per questa sua presa di posizione dal PCd’I, poi riammesso per intervento diretto di Lenin, indi definitivamente espulso, rimane ai margini della vita politica italiana godendo, peraltro (durante tutto il Ventennio), dell’amicizia, della protezione e della solidarietà (anche in casi di stretta problematica privata) del suo ex compagno socialista, ormai realizzato duce d’Italia e del fascismo. Nell’epilogo della Seconda guerra mondiale e del fascismo, coglie l’attimo, contingentemente infausto ma epicamente unico, della prima, e a tutt’oggi sola Repubblica che volle definirsi “sociale” (oltreché: “italiana”). Non scrive materialmente il decreto legge (D.L. 375/1944) sulla “socializzazione delle imprese” , che ad altri è dovuto (Manlio Sargenti e Angelo Tarchi, in primis), ma ne diventa indiscusso “apostolo”, scendendo in piazza, nel pieno corso degli eventi bellici, tra gli operai che ancora ne riconoscono l’adamantina fede proletaria e suscitando entusiasmo nelle decine di migliaia di lavoratori, plaudenti auditori dei suoi infiammati discorsi. A partita bellica ormai conclusa, segue il duce nell’ultimo tragitto: dalla Prefettura di Milano a Dongo e, da qui, a Piazzale Loreto dove, con altri, contempla a testa in giù il sovvertimento totale della verità. Titolo, questo: La verità, della sua ultima impresa giornalistica, traduzione italica della sovietica Pravda. Dall’al di qua, dove provvisoriamente ci troviamo, gli abbiamo chiesto quel che segue…

Onorevole Bombacci…
Mi chiami Nicola, o Nicolino se preferisce… Lasci stare l’onorevole: io sono un figlio del popolo… E il popolo, me compreso, non contempla altro onore che quello conquistato nelle trincee, nelle fabbriche o nelle piazze… E chi se lo conquista lì, non gode ad essere chiamato “onorevole”, secondo la vostra accezione corrente… E poi, non ho un bel ricordo del mio periodo parlamentare… Per cui – la prego – eviti…
Comunque voglia essere chiamato, lei resta “l’Apostolo della Socializzazione”; le viene perfino attribuita la stesura del testo di legge che istituì la socializzazione nella vicenda della Rsi…
Non ho scritto io il testo di quella legge… Ma quel progetto era quanto perseguivo da quando, inizi del ’900, cominciai da socialista a fare politica… E da socialista – come sa  – ho inteso finire di piantar grane a questo mondo…
Proprio il fatto che lei sposò, da socialista, di più: da fondatore del Partito comunista d’Italia, la causa del fascismo repubblicano, a guerra ormai compromessa, la fa ritenere persona controversa ed incoerente…
Beh, se è per questo anche Togliatti sposò il programma originario del fascismo, enunciato a piazza San Sepolcro: ricorda, no? “Il Migliore”, nel 1936, rivolse l’invito “ai fratelli in camicia nera” a rifarsi a quell’atto fondativo e a considerare il comunismo potenziale realizzatore di quel programma…
Sì… ma Togliatti si è ravveduto, mi sembra…
Sì… lui si è ravveduto dal fascismo e io dal comunismo… A conti fatti, visto che di comunismo reale, voi contemporanei, parlate ormai solo sulle pagine di storia, e neanche tanto positivamente, non so chi dei due si sia ravveduto meglio…
Se è per questo, del fascismo, sulle pagine di storia, si parla anche peggio…
Sì, ma con una, anzi: con due differenze…
E cioè?
La prima: il fascismo ha perso una guerra mondiale e, quindi, era abbastanza scontato che pagasse e ancora paghi dazio per quella sconfitta… Il comunismo, che pure vinse la stessa guerra che il fascismo ha perso, si è sconfitto da solo per implosione… La seconda…
La seconda?
Il fascismo non ha tradito la sua rivoluzione; il comunismo, invece, sì…
Quindi – mi sembra di capire – lei non si considera né controverso né incoerente…
Accetto senz’altro di essere considerato “controverso”. Del resto, chi non è contro-verso rischia di diventare per-verso e – se lei permette – nessuno può dubitare della mia onestà morale… Sull’incoerenza politica, il discorso si complica. Ma ritengo di potermi spiegare…
La prego…
Ho inseguito per tutta la vita la realizzazione di un progetto di evoluzione del lavoratore da asservito al giogo del capitale, a padrone del proprio destino… Quando vidi scivolare questa originaria e antica aspirazione dell’uomo in un riformismo che avrebbe finito per accettare e perpetuare i canoni del liberismo economico, abbracciai la rivoluzione comunista e fondai la sezione d’Italia del partito… Quando, ancora, vidi come Stalin tradiva la rivoluzione dei Soviet, dei “consigli degli operai” per intenderci, per dare ad una casta di amministratori e di burocrati, a un Soviet talmente Supremo da essere inaccessibile ai lavoratori, tutto il potere che la rivoluzione, invece, prometteva all’operaio, al lavoratore, mi disillusi e guardai oltre…

Al fascismo, com’è noto…
Al fascismo… Perché, no?
Beh, la storia pensa…
La storia non pensa: sono gli storici a pensare…

D’accordo: gli storici pensano che il fascismo non favorì affatto gli interessi dei lavoratori…
A me risulta altrimenti, anche se non sono uno storico… Gli storici scrivono, di solito, quello che il “potere al potere” vuole che scrivano… Nelle eccezioni (rare…), per quanto obiettivi possano essere, sono anche loro: gli storici, dentro la storia… Mica la contemplano da Sirio. Vuole che ricordi e le elenchi tutte le leggi che il fascismo promulgò al fine, realizzato, di costruire lo stato sociale, ancora prima di arrivare alla sua fase repubblicana?
Le conosco, grazie… Ma c’è chi pensa che, quelli, fossero atti dovuti in ogni caso e da qualsiasi “potere al potere”. I tempi erano maturi perché si realizzasse lo stato sociale. Il fascismo fece quanto era improrogabile fare…
Talmente improrogabile che, oggi, non fanno altro che smantellarlo improrogabilmente… No, lei sbaglia: nessuna contingenza avrebbe costretto il fascismo a realizzare il suo programma rivoluzionario se, questo, non fosse stato iscritto nel proprio patrimonio genetico…
Torniamo, per un attimo, alla difficile assimilazione che lei intese intravedere fra fascismo e comunismo…
Le dirò di più: fino ad un certo momento del percorso della rivoluzione comunista, ho persino sognato – come ricorderà – che le due rivoluzioni, quella fascista e quella comunista potessero unirsi… Ancora nel 1940, sentivo di poter affermare: «… eppure giorno verrà, in cui il soviet, permeandosi di spirito gerarchico, e la corporazione, di risoluta anima rivoluzionaria, s’incontreranno sopra un terreno di redenzione sociale».
Che cosa intendeva dire?
Fascismo e comunismo hanno la stessa matrice ideologica: il socialismo, appunto… Perché crede che, sul punto di essere fucilato, gridai “Viva il socialismo”?
Non lo so: me lo dica lei…
Il fascismo, all’inizio del suo percorso, divaricò la forbice dalla matrice originaria per poi, gradualmente, riavvicinare le punte del compasso. Fino a farle coincidere in una formula, in qualche modo socialista”, forse inedita nella storia, sì, ma fedele all’originaria aspirazione e, ai miei occhi, a tutt’oggi insuperata. Il comunismo, invece, uscì dallo stesso punto originario, ma poi realizzò la completa ottusità dell’angolo… Fino ad abortire in una sorta di capitalismo di stato… Cosa, questa, assai diversa da qualsiasi concezione di socialismo si voglia intendere…
A seguirla sembra quasi che sia stato il fascismo a realizzare le istanze marxiste…
No, il sistema di socializzazione del fascismo prevedeva la sussistenza della proprietà privata. Il che lo rende irriducibile alle istanze marxiste, almeno a quelle di vulgata…
Infatti, il fascismo non predicò mai l’abolizione della proprietà privata, come prevedeva invece il socialismo…
Anche qui – mi perdoni – si sbaglia: del socialismo esistono diverse concezioni e non tutte prescrivono l’abolizione della proprietà privata. Si rilegga Filippo Corridoni, per esempio… Quest’abolizione la prevedeva, compiutamente, la versione vulgata di Marx che, invece – nonostante la vulgata stessa – individuava la fase finale del percorso rivoluzionario del proletariato comunista nella: “Autonomia dei produttori”. In pratica, Marx auspicava il pieno possesso dell’impresa economica industriale, agricola, commerciale da parte dei lavoratori che la gestiscono. Cioè, ancora, nella piena autogestione delle imprese produttive… Nella socializzazione compiuta, per l’appunto… Guardi, ancora per esempio, il socialismo realizzato nell’ex Jugoslavia titina: lì, mica era una prescrizione tassativa abolire totalmente la proprietà privata… Come invece fu, e con quali esiti!, nell’Unione Sovietica…
Ma la proprietà privata non è parte consustanziale del liberismo economico?
Questo lo credono menti depositate nell’archivio a caselle concettuali con tenuta assolutamente stagna e stonfa… La proprietà dell’impresa da parte del lavoratore, nei limiti stabiliti dalla socializzazione, la proprietà della sua casa — ancora e sempre per esempio – sono fondamentali che non smentiscono una versione possibile – sottolineo: possibile – del socialismo… Anzi – a parere mio – la esaltano al di là degli espropri statali comunisti e dei monopoli privati del capitalismo… La proprietà è un istinto naturale dell’uomo… Perché abolirla? Nel Manifesto di Verona si stabilisce il diritto “alla” proprietà, in contro distinzione dal diritto “di” proprietà… Si stabilisce, cioè, un principio di diritto etico del proletario: quello di evolversi in proprietario… Il diritto “di” proprietà, cioè, viene ricondotto nell’ambito dei superiori interessi della comunità, del popolo, della nazione e non a quelli del capitalismo GIÀ proprietario…
Adesso, non mi dirà che il fascismo sostenne anche la lotta di classe…
La lotta di classe è un espediente, non un dogma… Un espediente che ha trovato nella rivoluzione industriale la sua legittimazione… Intere comunità contadine furono costrette ad inurbarsi in tuguri… E a lavorare in condizioni che dire schiave è cosa perlomeno appropriata… Quale altro espediente, a parte la lotta di classe, avrebbero potuto adottare, quelle masse, per elevarsi da una condizione di animalità, in cui erano costrette dal neonato capitalismo industriale, a un minimo di condizione umana? Un rivoluzionario operaista a tutto tondo come Mazzini, non abbastanza celebrato per i motivi che le sto per esporre, poté concepire, invece, un sistema in cui tutti, un giorno, sarebbero stati padroni della propria impresa lavorativa e sociale… Mazzini teorizzava la piena responsabilità dell’impresa, da parte delle “associazioni degli operai”. Auspicava, insomma, un sistema in cui le forze produttive si completano in una condivisione sociale e nazionale. In questa realizzazione, lo scontro di classe sarebbe diventato un non-senso logico… Cosa che perfino Marx prevedeva, come sbocco naturale del comunismo… La storia ha smentito Marx, mica Mazzini che già, nell’800, intravedeva nel socialismo marxista realizzato «una vita da castori» e non da uomini…
Non le è mai venuto in mente che la socializzazione fosse un espediente per riconquistare alla causa dell’ultimo fascismo, quello repubblicano, la massa dei lavoratori? Masse che, disilluse dal regime ventennale, si erano, nel frattempo, rivolte altrove per cercare giustizia sociale?
Le posso dire che a Genova, poche settimane prima del 25 aprile 1945, c’erano almeno trentamila persone in piazza ad ascoltare un mio comizio di propaganda per la socializzazione… E nessuno storico si è mai azzardato a considerare quella folla come costretta a venirmi a sentire… E lì, credo di essermi spiegato… Così, come nessuno storico ha mai sottolineato abbastanza che il primo atto legislativo del neo-governo di liberazione, proprio nella mattina del 25 aprile 1945, abolì il decreto che istituiva la socializzazione delle imprese nella, ormai ex, Rsi… Avevano fretta…
Sembra proprio così, ne convengo… Ma cosa disse, esattamente, in quel comizio del 12 marzo del ’45?
Glielo riassumerò, citandomi. Dissi: «Fratelli di fede e di lotta, guardiamoci in viso e parliamo pure liberamente: voi vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, comunista, amico di Lenin, di vent’anni fa. Sissignori, sono sempre lo stesso, perché io non ho rinnegato i miei ideali per i quali ho lottato e per i quali, se Dio mi concederà di vivere ancora, lotterò sempre. Ma se mi trovo nelle file di coloro che militano nella Repubblica sociale italiana è perché ho veduto che questa volta si fa sul serio e che si è veramente decisi a rivendicare i diritti degli operai».
Non le si può negare una fede cieca…
Non mi neghi la fede… Ma la cecità – la prego – me la risparmi: non ho mai visto tanto bene come in quei giorni di martirio…
Va bene, andiamo oltre…
D’accordo, andiamo oltre… Non ho fatto altro, per tutta la vita, che andare oltre: continuiamo pure…
Secondo lei, che lo frequentò assiduamente, nei seicento giorni di Salò…
Della Repubblica sociale, vorrà dire… Scusi: chiami le cose con il loro nome esatto…
D’accordo, come vuole…Nei seicento giorni della Repubblica sociale, allora, quale fu secondo lei, la molla decisiva che indusse Mussolini a concepire e realizzare il progetto di socializzazione, proprio nel momento in cui le speranze, non dico di una vittoria fascista ma, almeno, di una sua possibile sopravvivenza erano praticamente nulle?
Qualcuno – non ricordo chi – prima di una battaglia che si preannunciava disgraziata, a chi gli faceva notare che non c’era nessuna speranza di vittoria, rispose: «Sperare non è necessario per intraprendere». Ecco, fu proprio questo – io credo – lo spirito che portò Mussolini a varare – finalmente,  dico io – la legislazione socializzatrice… A portare a termine, cioè, in maniera coerente (un termine che, mi sembra, le sta particolarmente a cuore; però, attento: soltanto gli imbecilli non si smentiscono mai…); a portare a termine – dicevo – gli sviluppi logici della rivoluzione fascista… Comunque c’era, anche, un messaggio, un testamento – se vuole – da lasciare… Una via percorribile da indicare a chi sarebbe venuto dopo e avrebbe ripreso, in qualche modo, il cammino della rivoluzione che gli esiti della guerra stavano stroncando… Queste, e non altre, furono le molle che spinsero Mussolini a “intraprendere”… Quando tutto, evidentemente, era ormai perduto, fuorché – come si dice – l’onore… E si figuri che persino io, personalmente, m’illusi, per un momento, che realizzando la socializzazione le stesse sorti della guerra avrebbero potuto essere diverse… Ma Mussolini era l’unico che aveva, ancora e nonostante tutto, il senso esatto del corso che avrebbe preso la storia… Non fu certamente per caso che Lenin confidò, a me personalmente, che Mussolini era l’unico uomo italiano che avrebbe potuto realizzare, in Italia, la rivoluzione… E i fatti non hanno smentito Lenin… Tanto meno, Mussolini…
Come saprà, in chi si autoproclamò “erede del fascismo”, la via indicata da Mussolini nel suo testamento politico è rimasta, praticamente, lettera morta… Nel dopoguerra, fino ad oggi, furono altre le istanze che, dal fascismo, i neofascisti assunsero nella pratica della loro azione politica…
Quello che dice è parzialmente vero… La socializzazione non è stata, per molti anni, sventolata come bandiera di discrimine fra chi avrebbe dovuto intendersi, ed essere inteso, interprete della “Terza Via” fra comunismo e capitalismo, che sembrano irriducibili ma, nella sostanza, non lo sono: da una parte, infatti, troviamo ancora i sostenitori del libero mercato che tutto legittima in nome del laissez faire e, dall’altra, lo Stato che tutto pretende: entrambi espropriatori del destino dell’uomo…
E quindi?
E quindi il fascismo, l’ultimo fascismo soprattutto, ha saputo riportare il discorso nei giusti termini: restituire alle mani del popolo la responsabilità diretta della sua impresa, in ogni campo sociale si fosse trovata a manifestarsi… I fascisti del dopoguerra hanno, in non so quanto buona ma sicuramente in larga parte, disatteso la missione che gli fu assegnata. Senza, tuttavia, dimenticarla del tutto… Vedo, ai giorni che sono i suoi e, ahimè , non più i miei, dei sussulti che vanno nella direzione giusta… Vedo dei soprassalti di coscienza e di memoria… Le idee che valgono non muoiono… Respirano piano, ma respirano… Covano, semmai, sotto la cenere… Basterà una ventata più forte e il fuoco riprenderà ad ardere… O prima o poi, il capitalismo imploderà, per legge naturale se non altro… Così come, per deficienza interna, è crollato il comunismo… E l’uomo cercherà in altri sistemi di vita comunitaria la soddisfazione del proprio innato senso di giustizia sociale…

Nella socializzazione…

Fonte art. 
http://www.mirorenzaglia.org  



                                                                                                      

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