giovedì 26 giugno 2014

Avanguardia, una eredità schierata in prima linea, come sempre e per sempre…

di Mario M. Merlino

Le note dell’inno di Avanguardia Nazionale, la Panzerlied, tratte da una memorabile scena del film La battaglia dei giganti, si levano si diffondono coinvolgono i presenti nell’ampia sala ove, di prassi, si suona e si insegna a ballare il tango argentino. Qualcuno si azzarda con la prima strofa ‘sui monti nel ciel sulle strade e sul mar…’. Un po’ stonato la voce fattasi roca da anni taciuto il coro tende a dare anima ai ricordi alle battaglie intraprese alla giovinezza che s’accompagnò e che i capelli ingrigiti le rughe qualche acciacco di troppo sembravano aver spento. In piedi, in cerchio, ritmando le singole strofe con il battito del piede. E la sala è addobbata da bandiere una nera una rossa in alternanza con la runa nel cerchio bianco. Un popolo, una comunità si stringe, all’ombra dei suoi simboli, intorno al Comandante a quel ‘piccolo grande uomo’ che ancora una volta, come sempre del resto, è riuscito ad imporre le sue decisioni questo incontro nonostante le tante – sovente più che legittime – preoccupazioni di tempi resi troppo brevi di scarsezza di mezzi di capacità organizzative fattesi desuete. C’è la vecchia guardia da Belluno Trieste Brescia e Bergamo attraverso Roma e Littoria in Calabria Puglia Sicilia. Giovani militanti di diverse realtà romane e non solo. A sera musica…
Ci si aspettava un numero superiore, soprattutto di giovani, di quei giovani a cui sottintende e si esplicita l’intervento di Stefano. Un sabato dove il caldo ha riconquistato il sopravvento dopo giorni di pioggia. Un corteo per qualcosa contro qualcuno. Forse delle conferenze. E, poi, questo è il 21 giugno solstizio d’estate, giorno d’ebbrezza e di passioni, di roghi e magici cerchi, e diverse comunità sono andate ad arrampicarsi in montagna e darsi momentaneo rifugio in qualche bosco. Penso come fu Adriano Romualdi e Peppe Dimitri, in tempi successivi l’uno dall’altro, a chiedere di celebrare i due solstizi, mito rinnovato delle genti arye da intendere come rinascita di un’Europa soffocata da mefitici venti d’occidente e d’oriente, di vivere le emozioni sempre e comunque libere e, soprattutto, sempre antecedenti ad ogni ragionamento.
(Il filosofo Hegel, in una fortunata considerazione, operò la distinzione tra i giovani e i vecchi in quanto, in questi ultimi, si raccoglieva la saggezza di aver e poter contemplare il vissuto, cosa questa impedita ai primi. Ciò corrispondeva all’impianto del suo sistema concettuale. Stronzate. Bene ha fatto, dunque, Stefano a sottolineare che, sì, si possono mettere in evidenza le numerose e gravi ‘pecche’ nel comportamento di oggi di tanti e troppi giovani, ma è pur vero che sovente dietro l’apparente saggezza del mondo adulto si nasconde tanta e troppa viltà. E chi ha vissuto come scelta il ruolo di docente lo sa bene. Non è mai il vincitore, nonostante si senta detentore del sapere, ma ad altri affida – ‘senza onore né gloria’ – quel senso della conoscenza che è il metro d’ogni esperire, in altre menti ed altre mani il fiorire di quanto ha seminato – ‘nel campo tuo fiorirà la mia speranza’ scrive il poeta François Villon . Mettersi al servizio, altra considerazione di Stefano, di tutti coloro che vorranno ascoltare la nostra storia, le idee che abbiamo coltivato, i progetti per edificare le ragioni del cambiamento, avere il medesimo cuore di questa comunità che ha l’orgoglio la fede la fedeltà di ritrovarsi dopo oltre cinquant’anni dalla sua fondazione).
L’appello ai caduti, il Presente a quelli che ci hanno preceduto e che sono in spirito accanto alle nostre battaglie, alla vita di tutti i giorni, marciare serrati e sereni per andare sempre avanti, sempre oltre. Qualcuno vorrebbe stendere il braccio nel saluto romano, ma ogni rito con i suoi simboli vuole rappresentare una scelta, una identità. Così si porta il braccio destro verso il cuore con la mano a pugno. Non si rinnegano certo le radici da cui si è tratta la linfa vitale attraverso quella testimonianza di uomini e donne che ci educarono a tentare d’essere noi stessi ‘grandi’. Non volgiamo loro le spalle, non è in noi la cultura del rinnegato, l’eredità di valori e di sangue di cui un popolo si nutre ci appartiene. Soltanto abbiamo scelto di salpare, mettere in mare un fragile battello dalle vele runiche, simile a nordico ed antico drakkar, perché ogni generazione avverte come le circostanze e il tempo impongono confrontarsi superarsi e, poi, proprio nella concezione più ardita autentica irriverente – per intendersi lo squadrismo della prima ora, il volontariato esaltante e tragico della RSI – c’è questo tacito invito. Dunque tornare alle origini per correre incontro al futuro…
Come da programma, Stefano indica le ragioni di questo incontro – a me piace definirlo, con garbata affettuosa ironia, una sorta di ‘canto del cigno’ e la memoria va, dove il confronto non ha da essere, si badi bene, al teatro Lirico, Milano, 16 dicembre 1944. La volontà di consegnare, idealmente e attraverso un reiterato impegno per chi intenda non ritrarsi, gli uomini non le idee vanno in pensione, nel proprio guscio di nobili ricordi, il testimone alle nuove generazioni. Affermava l’imperatore e re di Spagna Carlo V che, se in battaglia, cadeva la bandiera e il proprio cavallo, egli avrebbe prima raccolto la bandiera e poi rialzato il cavallo… Veniamo da battaglie che ci videro sconfitti ma mai tentennare sui principi perché tenemmo ferma la barra verso la meta senza lasciarci intimorire o deviare dall’onda e dal vento. Detto altrimenti, sfuggendo al personale incedere tra metafore e citazioni, saper distinguere la strategia dalla tattica. Solo così i possibili compromessi non decadono in svendita o resa o peggio. Perché si ha la consapevolezza interiore fin dove ci si può spingere – lo spazio del qui ed ora – senza mai intaccare il fine – il luogo del sempre .
La storia di Avanguardia, dal 1960 in poi, evidenzia lo sforzo di definirsi capace di interpretare la realtà e di operare in essa quale presenza attiva nelle dinamiche ove lo scontro con l’esistente si fa più manifesto. Uscire dall’isolamento politico e, al contempo, dal rischio di un impegno di mera contrapposizione concettuale. A dimostrazione di ciò, quasi a premessa, il Comandante – sabato e domenica così l’abbiamo sentito chiamare dopo che lo appellavamo, con affetto e rispetto, ‘il Caccola’ – ha proposto tre momenti di questa lotta per combattere il sistema nella sua interezza. Brevi relazioni, tenute da chi visse quelle esperienze, su Valle Giulia la rivolta di Reggio Calabria il tentativo di golpe del principe Borghese. Il ’68 inteso quale rivolta generazionale oltre le ideologie e contro l’imperio dei partiti; l’unica autentica manifestazione di rivolta popolare da cui, simile ad un cerino acceso su un covone di paglia, Reggio avrebbe rappresentato il suo estendersi su tutto il territorio nazionale; la frattura radicale con le forme parlamentari del sistema democratico tramite una azione di tipo militare ove il ruolo dei militanti di Avanguardia era non soltanto di supportare con le proprie giovanili energie ma di fornire l’humus ideale e dottrinario… Il consuntivo sotto il segno della sconfitta, che non equivale al fallimento, in quanto furono obiettivi ambiziosi rispetto alle forze avverse in campo. Mi viene a mente, prometto essere l’ultima citazione, come sugli stendardi di Guglielmo il Taciturno campeggiasse il motto: ‘Non occorre riuscire per perseverare né sperare per intraprendere’…
Tanti gli interventi, un dibattito a testimoniare che non apparteniamo alla ‘terra dei morti’. Due giorni che sono stati anche occasione per camerati di re-incontrarsi dopo anni in cui la vita ha trascinato molti di noi in città diverse famiglia lavoro e scoprire che, nonostante ciò, sembrasse ieri il distacco. Poi, a sera, dopo una frugale cena tanta musica ‘alternativa’ – la musica che predispone l’animo forte a ritrovarsi, ieri come oggi, schierato in prima linea, come sempre e per sempre…

Fonte art.
http://www.ereticamente.net


 

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