sabato 26 luglio 2014

Quella notte di luglio, tra attese e tradimenti

Testimonianze impossibili

La caduta del Duce raccontata da un commesso di Palazzo Venezia

Mi piaceva il mio lavoro. Camminavo per i corridoi di un meraviglioso e storico edificio svolgendo le mansioni più svariate e, soprattutto, avevo l'occasione di respirare un po' dell'aria inebriante delle stanze del potere. Già, perché spesso mi capitava di dover svolgere qualche incarico per il Duce: una persona un po' lunatica forse (c'erano giorni in cui si arrabbiava per un nonnulla), ma profondamente consacrata al suo lavoro, che considerava quasi come una missione. A volte, mentre aspettavo di portargli qualche comunicazione, osservavo le persone in attesa di parlare con lui: gente di tutti i tipi e con le più varie richieste e preghiere, che lui ascoltava sempre.
Questa tranquilla routine degli anni di governo durò più o meno fino all'entrata in guerra del nostro Paese a fianco della Germania. E andò progressivamente deteriorandosi in parallelo al volgere del conflitto a favore degli Alleati.
Io, umile commesso di Palazzo Venezia, pensavo soltanto a fare bene il mio lavoro – ero molto fortunato, in tempi come quelli, ad averne uno – e non mi occupavo di politica. Che tra l'altro, per quel che potevo osservare, era sempre più piena di intrighi, discorsi a mezza bocca e complotti. Tirava insomma un'aria decisamente brutta, per l'Italia e soprattutto per quell'uomo che l'aveva governata per vent'anni.
Le notizie che continuavano a provenire dai vari fronti di guerra erano pessime. Il 10 luglio c'era stato lo sbarco degli Alleati in Sicilia e il 19 luglio gli aerei americani avevano sorvolato Roma, sganciando sul popolare quartiere di San Lorenzo il loro carico di bombe e morte. Erano in molti a domandarsi cosa sarebbe successo e le richieste di convocare il Gran Consiglio del Fascismo (organo supremo del regime, anche se aveva solo funzioni consultive) si moltiplicarono: l'intenzione espressa era quella di discutere dell'andamento del conflitto ma quello a cui molti gerarchi miravano, come seppi in seguito, era la deposizione di Mussolini.
Il Duce convocò una riunione per il 24 luglio alle ore 17. Insieme ad altri colleghi mi occupai di preparare la Sala del Pappagallo per quello che intuivo essere un momento cruciale non solo per il governo, ma per l'Italia tutta. Allestimmo 28 scranni più quello di Mussolini, posizionato su una pedana per elevarlo rispetto agli altri. Nessuna decorazione, nessuno stendardo. All'ordine del giorno c'era la votazione di un documento a firma di Dino Grandi, con cui si chiedeva a Mussolini di rimettere al re il comando delle forze armate.
I membri del Gran Consiglio arrivarono alla spicciolata. Tutti avevano un'aria tesa e nervosa. Il Duce, che entrò nella sala per ultimo, mi diede l'incarico di fare l'appello: erano tutti presenti. La riunione cominciò con un lungo discorso di Mussolini, che fece un riassunto della situazione bellica e concluse affermando che la questione che si poneva era una sola: arrendersi o resistere ad oltranza. Dopo di lui presero la parola altri gerarchi, che parlarono per alcune ore. Erano le 21 quando Grandi prese la parola per esporre il suo ordine del giorno. Era preoccupatissimo, al punto da aver nascosto due bombe a mano nella sua valigetta, come raccontò lui stesso in seguito. Mussolini non reagì e la riunione andò avanti con la presentazione di altri documenti (a firma di Farinacci e Sforza).
Alle 23 si decise di fare una pausa. I gerarchi si riversarono quindi nell'anticamera della Sala, dove era stato preparato in tutta fretta un tavolo con alcuni panini e bibite. Io ero rimasto sulla porta e da quel privilegiato punto di osservazione mi accorsi che diversi gerarchi stavano firmando il documento presentato da Grandi. Poi la riunione riprese. Alle due e mezza si stava ancora discutendo.
In passato le sedute del Gran Consiglio si erano concluse con la lettura di un ordine del giorno redatto da Mussolini stesso che sintetizzava i punti principali di quelli presentati. Quella notte però, sorprendendo tutti, il Duce non fece niente di simile e chiese di iniziare le votazioni partendo proprio dall'ordine del giorno Grandi. Che ottenne 19 voti a favore, 8 contrari e un' astensione. Alle 2.40 il capo del governo, reputando inutile proseguire con le votazioni, tolse la seduta dicendo: “Signori, con questo documento avete aperto la crisi del regime”.
Lì per lì, forse per la stanchezza, non mi resi conto del tutto della portata storica dell'avvenimento al quale avevo assistito. Lo capii pienamente soltanto quella sera, quando sentii alla radio l'annuncio con cui si comunicava che Mussolini si era dimesso e che il nuovo capo del Governo era il maresciallo Pietro Badoglio. Erano le 22.45 del 25 luglio e per l'Italia cominciava un periodo tra i più terribili della sua storia, non solo per i fascisti (molti dei quali, anche tra i più in vista, divennero quasi immediatamente ex fascisti, con un voltafaccia che divenne un marchio di infamia stampato a fuoco sulla pelle di tutti gli italiani) ma anche per la gente semplice come me, che fascista non era mai stata ma che aveva sempre rispettato chi, anche sbagliando, aveva avuto come unico scopo la grandezza della Patria.
 
Cristina Di Giorgi

Gli attori di un dramma che ha segnato la Storia della Nazione
Mussolini è il Fascismo, il Fascismo è Mussolini
L'epilogo delle passioni e delle pulsioni di un'epoca
 
Se l'intento dei personaggi di quella notte del 25 luglio  era quello di far cadere Mussolini per fare la scalata al Partito Nazionale Fascista e dunque ai vertici dello Stato, i congiurati avevano fatto male i loro conti. Perché non poteva esserci Fascismo senza Mussolini, e loro, proprio loro, avrebbero dovuto saperlo. Il Fascismo fu un'esperienza unica proprio perché fu la concretizzazione di una concezione dello Stato fuori da ogni schema passato e, almeno fino ad oggi, futuro. Come scrive Sebastiano Grimaldi nella sua prefazione al volume "Il Gran Consiglio del Fascismo" di Paolo Cavallaro, "il Fascismo fu Mussolini o, quanto meno, esso fu una sua personalissima creazione; talmente personale e talmente legata alla figura del suo 'demiurgo' da terminare - come terminò - con la scomparsa del 'duce'. Alla luce di questa fondamentale premessa va letto - a mio avviso - ogni pur minimo aspetto del regime fascista".
Il lungo periodo trascorso da quella notte ad oggi consente di osservare la scena con uno sguardo maggiormente distaccato, certamente, e permette di fare considerazioni più lucide di quanto fosse possibile allora, in un momento storico convulso e difficile. Ma che con la caduta del Duce sarebbe caduto anche il Fascismo era chiaro. Il lettore attento, allo scoccare di questo 25 luglio, oggi, conosce ormai nei dettagli  i personaggi che in quella notte si sono alternati. Ne conosce le passioni e le pulsioni, ne conosce i pregi ed i difetti, ne conosce le origini e la vita. Il lettore che quotidianamente segue il nostro speciale sul Giornale d'Italia li conosce uno per uno, ormai. Li abbiamo raccontati tutti, gli attori di questo dramma. Conosce dunque le due facce di Dino Grandi, che ebbe il coraggio di definire Carlo Scorza "falso, mentitore e pagliaccio", senza fare i conti con la possibilità che i posteri avrebbero potuto dedicare proprio a lui queste stesse parole. E poi Biggini, Polverelli, Tringali-Casanova, Frattari, Buffarini Guidi, Galbiati, che alla chiamata di Grandi rispondono "no". Ma anche l'anziano generale De Bono, De Vecchi, Federzoni, il controverso Galeazzo Ciano, De Marsico, Acerbo, Pareschi, Cianetti - con il suo ripensamento del giorno dopo - Balella, Gottardi, Bignardi, De Stefani, Rossoni, Marinelli, Alfieri, Albini, Bastianini, infine Bottai. Che rispondono "si". E Suardo, l'unico astenuto di quella notte. E Farinacci, che si batte fino alla fine a sostegno del suo, di documento, e che finirà fucilato dai partigiani, offrendo il petto e morendo con la testa alta come sempre era vissuto. 
Il 25 luglio si chiude un'epoca e se ne apre un'altra. Mussolini lo sa. Ciò che non sa è che il re Vittorio Emanuele, quel piccolo uomo sul cui capo il Duce aveva posto un giorno la corona di Imperatore, sta per farlo arrestare. Anche perché è stato Mussolini a creare dal nulla il Gran Consiglio, e sa bene che si tratta di un organo consultivo e che nulla può decidere. Ma il re ha già pensato alla successione del Duce: "Ho pensato - gli dice - che l'uomo della situazione è in questo momento il Maresciallo Badoglio". Insomma, per assurdo che sia, è così che cade il Fascismo: con un colpo di Stato ordito dal re e da quegli stessi uomini a cui Mussolini aveva per venti lunghi anni dato tutto. Che a lui dovevano tutto. Loro avevano posto una questione, non avendo alcun titolo per decidere alcunché. Ma avevano fornito al re gli strumenti per "dimissionare" Mussolini.  Sull'arresto che seguì, poi, si potrebbe parlare a lungo. 
Cosa accadde quella notte è noto, sui dettagli varrebbe la pena di soffermarsi un po' di più: alcuni di questi dettagli sono disseminati lungo gli ultimi nove mesi del nostro quotidiano, nel nostro speciale giornaliero, su molti altri avremo modo di ragionare nei mesi a venire. Ciò su cui vale la pena di riflettere per un istante è, piuttosto, immaginare cosa sarebbe accaduto se quella notte non fosse andata così. Manca la controprova, è vero, ma quella storia scritta con il sangue di tanti italiani deve aprire almeno una riflessione: Benito Mussolini aveva governato l'Italia per ventuno anni, aveva tirato su la Nazione dallo stato di indigenza in cui versava all'indomani della Grande Guerra. Il Fascismo di Mussolini aveva dotato lo Stato di leggi certe, aveva fatto una lunga serie di riforme in ogni settore, aveva dato l'esempio di cosa fosse un vero Stato sociale. Lo aveva fatto con l'unico mezzo di governo possibile in quel dato momento storico e sociale: la dittatura. Una dittatura che si può definire non del tutto totalitaria, però, e ne abbiamo parlato a lungo in più di un'occasione. Benito Mussolini aveva dimostrato di essere un grande Capo di Stato, non v'è questione. La riflessone dunque è d'obbligo:  cosa sarebbe accaduto se a gestire il momento più difficile della storia della Patria fosse stato lui anziché l'indegno Badoglio o l'inadeguato re? I quali infatti non esitarono a fuggire lasciando i soldati allo sbando e i civili senza alcun punto di riferimento? Il 25 luglio 1943 segna un momento storico essenziale, è il fulcro di ciò che sarebbe accaduto negli anni a venire.

Fonte http://www.ilgiornaleditalia.org
Art Emma Moriconi.

 

Nessun commento:

Posta un commento

Commenti dai camerati.