domenica 31 agosto 2014

Marocchini strappano bandiera italiana: scontri


Alcuni extracomunitari strappano in paese, per spregio, una bandiera italiana, inveendo contro gli italiani: due giovani del posto reagiscono e vengono aggrediti.

E’ accaduto a Casalduni, in provincia di Benevento.

Gli italiani, un disoccupato di 21 anni e un operaio di 19 di Casalduni, difendono la bandiera da quattro marocchini, due venditori abusivi e due nullafacenti.
Al termine del contronto uno dei due ragazzi italiani è stato trasportato al pronto soccorso dell’ospedale “G. Rummo” di Benevento dove i sanitari gli hanno riscontrato lesioni ed escoriazioni.
La bandiera conta solo quando è strumentalizzabile dai falsi patrioti alla Napolitano.

Fonte art.  http://voxnews.info
Foto Boia Chi Molla il blog.

venerdì 29 agosto 2014

Un comunista in camicia nera.


Bombacci, longa manus di Lenin in Italia, disse a Mussolini:

"Presto tutte le fabbriche saranno socializzate e sarà esaminato anche il problema della terra e della casa perché tutti i lavoratori devono possedere la loro terra e la loro casa…"
Nicola Bombacci



Nicola Bombacci, longa manus di Lenin in Italia e tra i fondatori del Pci, fosse amico per la pelle di Benito Mussolini, al punto tale da farsi uccidere insieme con lui a Dongo .

Nel 1927 Bombacci fu espulso dal Partito Comunista reo di aver paragonato la rivoluzione fascista a quella comunista, tale decisione, però, non fu vista di buon occhio dall’Internazionale; è da questa data che inizia la parabola politica discendente del Lenin di Romagna.

 Il Lenin di Romagna partecipò attivamente anche alla stesura dei 18 punti di Verona che si prefiggeva la R.S.I e al traguardo inseguito da una vita della socializzazione delle imprese e dei diritti dei lavoratori.

Nicola Bombacci nacque a Civitella di Romagna, in provincia di Forlì, il 24 ottobre 1879. Dopo una breve esperienza in seminario, divenne insegnante elementare. Fin da inizio secolo fu attivo nel mondo sindacale operando tra Crema, Piacenza e Cesena e venendo eletto nel 1911 membro del Consiglio Nazionale della Confederazione Generale del Lavoro (CGdL).
A Modena, durante il primo conflitto mondiale, ebbe il suo trampolino di lancio, divenendo il leader indiscusso del socialismo locale, tanto che lo stesso Mussolini lo definì il Kaiser di Modena.
Tra le guerre balcaniche e la rivoluzione russa fu contemporaneamente segretario della Camera del Lavoro, segretario della Federazione socialista provinciale modenese e direttore del periodico socialista “Il Domani“.
Nel luglio 1917, Bombacci venne nominato membro della Direzione del Partito Socialista Italiano (PSI), affiancando il segretario Costantino Lazzari nella redazione della famose circolari dirette alle sezioni del partito e il direttore del periodico socialista Giacinto Menotti Serrati nell’opera di conquista del movimento operaio da parte della corrente socialista massimalista. Nel 1918, con gli arresti di Lazzari nel gennaio e di Serrati nel maggio, rimase praticamente solo alla guida del Partito.
Fautore di una politica fortemente antiriformista, centralizzò e verticalizzò tutto il socialismo italiano: le federazioni provinciali del partito e il Gruppo Parlamentare Socialista (GPS) diventarono dipendenti direttamente dalla Direzione del PSI, alla quale si collegavano anche le organizzazioni sindacali e cooperativistiche rosse.
Nel 1919 redasse con Serrati, Gennari e Salvadori il programma della frazione massimalista, vincente al XVI Congresso Nazionale del Partito Socialista Italiano (Bologna, 5-8 ottobre 1919): eletto segretario del Partito (11 ottobre 1919) e, il mese seguente, nelle prime elezioni politiche generali del dopoguerra (16 novembre 1919) deputato nella circoscrizione di Bologna con oltre centomila voti fu una delle figure più potenti e visibili del socialismo massimalista nel biennio rosso.
Fu presto estromesso dai centri direttivi comunisti, cominciando dal CC del Partito. La polemica arrivò fino alle alte sfere sovietiche nel novembre 1923, quando il Comitato Esecutivo del PCd’I ne decise unilateralmente l’espulsione senza consultare l’Internazionale Comunista. Si accusava Bombacci, allora segretario del Gruppo Parlamentare Comunista, di aver fatto riferimento ad una possibile unione delle due rivoluzioni – quella bolscevica e quella fascista – in un intervento alla Camera dei Deputati il 30 novembre 1923.
Semplicemente, su indicazione dell’ambasciatore russo in Italia, Jordanskij, aveva prospettato un trattato economico italo-russo, fortemente voluto dal Cremlino. Nel gennaio del 1924, Bombacci fu dunque richiamato a Mosca, dove rappresentò la delegazione italiana ai funerali di Lenin: Grigorij Zinov’ev ne decise il reintegro nel PCd’I, in quei mesi decimato dalla campagna di arresti decretata dal governo fascista di Mussolini.
Al suo ritorno in Italia, però, Bombacci iniziò a lavorare all’Ambasciata russa a Roma, al servizio del commercio e della diplomazia sovietica. Nel 1925 fondò la rivista “L’Italo-Russa“, poi una omonima società di import-export, che ebbero entrambe vita breve. Il suo distacco dal Partito era ormai palese: nel 1927 i dirigenti comunisti in esilio ne decretarono l’espulsione definitiva.
Negli “anni del silenzio“, Bombacci continuò a vivere a Roma con la famiglia. La collaborazione con l’Ambasciata sovietica sembra che non si prolungo più in là del 1930. Le necessità economiche e le gravi condizioni di salute del figlio Wladimiro, che abbisognava di costose cure, lo indussero a chiedere aiuto a gerarchi del regime, che conosceva da tempo – Leandro Arpinati, Dino Grandi, Edmondo Rossoni -, e poi allo stesso Benito Mussolini, con il quale aveva avuto rapporti politici nel periodo giolittiano. Il Duce gli concesse alcune sovvenzioni in denaro per le cure del figlio e gli trovò un impiego all’Istituto di Cinematografia Educativa della Società delle Nazioni a Roma.
Dal 1933 Bombacci si avvicinò poco a poco sempre più chiaramente al fascismo, tanto che con il 1935 si può parlare di una vera e propria adesione. Mussolini, all’inizio del 1936, gli concesse di fondare “La Verità“, una rivista politica allineata sulle posizioni del regime, che, a parte alcune interruzioni dovute all’opposizione del fascismo intransigente dei Farinacci e degli Starace, durò fino al luglio del 1943. Al progetto collaborarono svariati altri ex-socialisti come Alberto e Mario Malatesta, Ezio Riboldi, Walter Mocchi, Giovanni e Renato Bitelli ed Angelo Scucchia.
Bombacci non ebbe mai la tessera del Partito Nazionale Fascista (PNF), per quanto la richiese ripetutamente al capo del fascismo, al quale scriveva sovente. Dopo la caduta del regime fascista il 25 luglio 1943 e, in settembre, la liberazione di Mussolini dal Gran Sasso e la creazione della Repubblica Sociale Italiana (RSI), Bombacci decise volontariamente di andare a Salò, dove divenne una specie di consigliere di Mussolini.
Proprio a Bombacci si attribuisce il progetto di “socializzazione“, notevolmente propagandato dal fascismo repubblicano ed approvato dal consiglio dei ministri della RSI nel febbraio del 1944. Nella stesura di tale opera Bombacci si ispirò alle teorie dell’ anarchico russo Nestor Ivanovyč Machno.
(da Wikipedia)
Il 15 marzo 1945, nel trionfale comizio di Piazza De Ferrari a Genova, disse:
Guardatemi in faccia, compagni! Voi ora vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, il fondatore del Partito comunista, l’amico di Lenin che sono stato un tempo. Sissignori, sono sempre lo stesso! Io non ho mai rinnegato gli ideali per i quali ho lottato e per i quali, se Dio mi concederà di vivere ancora, lotterò sempre. Ero accanto a Lenin nei giorni radiosi della rivoluzione, credevo che il bolscevismo fosse all’avanguardia del trionfo operaio, ma poi mi sono accorto dell’inganno. Il socialismo non lo realizzò Stalin, ma Mussolini che è socialista anche se per vent’anni è stato ostacolato dalla borghesia che poi lo ha tradito.


 

mercoledì 27 agosto 2014

Associazione Combattenti X Flottiglia Mas



L' Associazione X Flottiglia Mas ha ricordato l'intrepido e leggendario Comandante M.O.V.M nel quarantesimo anniversario della Sua dipartita.
Cadice, Spagna 26 Agosto 1974 - Roma, Italia 26 Agosto 2014.


26 agosto 1974

A Cadice partiva per l’ultima missione il Comandante della Decima Flottiglia Mas M.O.V.M. Junio Valerio Borghese. La Nazione del Generalissimo Francisco Franco “Caudillo de España por la Gracia de Dios” gli riserva i funer...ali di Stato. Cosa non fatta nell’ingrata Italia che gli rifiutava persino la cerimonia funebre riservata alle M.O.V.M. e tentava con l’amorevole “non possiamo” della Curia romana di evitare la tumulazione nella Cripta della Basilica di Santa Maria Maggiore di Roma di proprietà Borghese. Cosa che però è avvenuta a furor di popolo. DECIMA COMANDANTE .
 
 
 




Fonte  https://www.facebook.com/pages/Associazione-Combattenti-X-Flottiglia-Mas/126624974186825?fref=nf


 

LA DEMOCRAZIA COME IL MALE ASSOLUTO di Fabrizio Belloni


sabato 23 agosto 2014

I nostri maestri|Corneliu Zelea Codreanu: Il reclutamento dei militanti

 
Di Elio Carnico 21 agosto 2014
Fonte art.  http://www.aurhelio.it 

Quando recluta i militanti, il capo do cuib deve stare attento a scegliere gli elementi più qualificati, e dotati di alto senso della dignità. I disonesti, i litigiosi, quanti danno scandalo, i boriosi, i vantoni, gli arroganti, i paurosi, i vili devono essere lasciati fuori dall’organizzazione. E per essere sicuri che nessuno di questi elementi possa entrare nell’organizzazione, in ogni villaggio il numero dei legionari non potrà superare la metà del numero degli abitanti di quel villaggio. Una volta completato il numero dei legionari, nessuno potrà più venire accolto nell’organizzazione, ma dovrà soltanto attendere che si liberino dei posti. L’organizzazione deve comunque essere preservata da coloro che non riescono a vivere senza litigare. Non appena si noterà che un militante del cuib non riesce ad andar d’accordo con gli altri militanti, egli dovrà lasciare l’organizzazione presentando le proprie dimissioni. Meglio pochi e vivere in fratellanza completa in unità perfetta, piuttosto che molti e combatterci tra di noi. Il capo di cuib cercherà di salvaguardare l’organizzazione dagli agentiprovocatori e dalle spie mandate dai politicanti democratici e dagli imbroglioni di mestiere.
 
C.Z. Codreanu, Il Capo di Cuib
 
 
 

Ecco madama democrazia.......???



Udite udite.
Polizia postale e digos a caccia di nostalgici fascisti sui social


L’evoluzione tecnologica degli ultimi anni ha reso indispensabile l’uso di Internet quale mezzo di scambio di informazioni, di accesso alle grandi banche dati, di esecuzione di transazioni e disposizioni finanziarie, di ideazione e creazione di nuove attività professionali. La rapida diffusione dell’uso di Internet ha ben presto messo in evidenza i punti di debolezza della Rete stessa, in particolar modo con riferimento alla sicurezza informatica. E’ in questo scenario che nasce, con legge riforma dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza, la Polizia Postale e delle Comunicazioni, quale “specialità” della Polizia di Stato all’avanguardia nell’azione di prevenzione e contrasto della criminalità informatica e a garanzia dei valori costituzionali della segretezza della corrispondenza e della libertà di ogni forma di comunicazione.
Oggi 9 utenti su 10 sono iscritti su facebook o twitter  ed è qui che gli agenti della polizia postale e politica stanno concentrando le operazioni di ricerca dopo l’appello della presidenza della Camera dei Deputati. Da una breve analisi si nota il forte concentramento di utenti iscritti a pagine o gruppi dichiaratamente fascisti che vengono monitorati e schedati dagli agenti.
“Ogni singolo commento lasciato sui social network è registrato dagli agenti della Polizia Postale che riescono a risalire nel giro di pochi minuti al IP del computer o cellulare dove si è commessi” spiega il Commissario Manuele Senrechs, che aggiunge “Abbiamo i dati con più di 10 milioni di italiani che sono iscritti a gruppi facente specie al nazismo e al fascismo. Di questi abbiamo i dati degli amministratori e creatori di questi gruppi come indirizzi e numeri telefonici che facebook ci passa in collaborazione con le indagini in corso”.
A quali pene vanno in corso? “Per i semplici utenti che postano commenti nulla di particolare, li ci pensano i gestori della rete facebook o twitter. Mentre per gli amministratori dei gruppi e delle pagine vige la Legge Scelba del 1952 dove è prevista la reclusione e/o una sanzione pari a 100 mila euro.
Digos e Polizia Postale possono sequestrare il materiale informatico come avvenne già nel 2012 quando ci fu una retata a casa di un 18enne di Reggio Emilia reo di gestire una pagina dal titolo “Duce sei sempre nel mio cuore” che contava più di 20 mila iscritti, prontamente oscurata. Per il giovane invece, dopo un processo durato 7 mesi, la condanna è stata una multa di 8 mila euro e 12 mesi di servizio sociale al Centro Multiculturale di Reggio.
 
ardolinobonomo
 
Bene segnalate anche questo blog Boia Chi Molla il blog.
Mi raccomando

SCOMPARSO L’ULTIMO COMBATTENTE ITALIANO DELLA “ADOLF HITLER”



di Primo Arcovazzi.

 



Se ne è andato così come aveva vissuto, in silenzio. Una vita particolare quella di Ferdinando Gandini, residente da anni ad Anzio (Roma). A guardarlo somigliava a un nonno come tanti, ma la sua vita custodiva un’esperienza straordinaria. Come tutti i nostri nonni aveva combattuto per la grandezza dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, ma la sua storia aveva qualcosa di diverso da raccontare. Gandini la storia, quella con la “s” maiuscola, l’aveva cominciata a scrivere quando era riuscito ad arruolarsi volontario, a soli sedici anni, nei Battaglioni M della Milizia fascista, i più valorosi reparti delle Regie Forze Armate impegnati nel Secondo conflitto mondiale. Con loro aveva combattuto una guerra senza tregua in Albania, rimanendo anche ferito in combattimento, fino al dramma dell’8 Settembre, il vergognoso tradimento monarchico, la firma della resa senza condizioni e il conseguente passaggio al nemico. Per un ragazzo come Gandini, educato ai valori del Risorgimento e all’amor di Patria, la scelta era già scritta. Mentre tutti i soldati italiani scappavano, scelse di continuare a combattere e si aggregò al primo reparto tedesco di passaggio. La sorte volle che si trattasse della Divisione SS Leibstandarte “Adolf Hitler”. Inquadrato in questo reparto d’èlite, tra i migliori dell’Esercito germanico, combatté per la libertà d’Europa contro gli invasori angloamericani in Normandia e, successivamente, contro la barbarie sovietica che si apprestava ad inghiottire nel terrore e nella misera la radiosa Ungheria. Sopravvissuto all’immane conflitto, non rinnegò mai i suoi ideali e, cittadino esemplare, si dedicò alla famiglia e al lavoro. Il 21 di Agosto si è spento serenamente, circondato dall’affetto dei suoi cari e dei suoi camerati. Sulla sua avventurosa vita di combattente europeo Francesco Paolo D’Aura ha anche scritto un libro di successo, Einer von Millionen, edito dalla Mursia. Un libro che ha fatto conoscere alle giovani generazioni il valore del combattente italiano, spronandole ad amare la Patria seguendo l’esempio del volontarismo di guerra espresso in tutti i secoli dagli Italiani. Messaggi di cordoglio sono giunti dall’Associazione Nazionale Arditi d’Italia e dall’Ordine dell’Aquila Romana che presenzieranno con delegazioni ufficiali alle esequie, tributando al combattente Ferdinando Gandini i solenni onori militari.



 

lunedì 18 agosto 2014

Commemorazione Coltano (PI)


Unione nazionale combattenti della repubblica sociale Italiana.
Associazione reduci di Coltano (Pisa)

Si invita i camerati ed i reduci (o i loro familiari) alla commemorazione campo Coltano(PI) PWE 337

alle ore 9.30
 
 


 

Cacciate i Fascisti…dalle strade!



Fonte dal sito
http://www.ilduce.net 



Strano paese l’Italia, talmente strano che una mattina d’agosto ti svegli, accendi la tv che, per errore, è sintonizzata sulle discutibili ma “canonizzate” reti Rai e senti ciarlare un semisconosciuto, pare giornalista, su alcune vie e scuole d’Italia intitolate (non sia mai!) a presunti fascisti del passato ed alla necessità, urgentissima, di rimuovere tale vergogna.
Così in attesa che il governo Renzi prepari un’azione urgentissima in tal senso (con un nuovo annuncio stile televendita di Mastrota) il signore in questione informava i residenti, a modo suo, di chi fosse la persona che dava il nome alla propria via di casa ottenendo lo sdegno unanime dei passanti facendoci sentire e vedere, come solito in Italia, soltanto ciò che a lui conveniva in totale conformità allo schifo fatto dagli storici (degni di riviste storiche alla “Topolino”) negli ultimi 70 anni.
In giro per l’Italia infatti esistono ancora oggi alcune strade e scuole intitolate a personaggi minori del fascismo, molti morti prima della guerra, esponenti locali notabili o che si sono spesi per la propria comunità e che hanno avuto in cambio una via secondaria intitolata alla loro persona.
Di “via Benito Mussolini – statista” ne esistono 1 o 2 in tutta Italia in paesini dimenticati che hanno conosciuto il loro momento di gloria con sconsiderati  attacchi mediatici al coraggioso sindaco di turno che aveva deciso di intitolare una strada a quell’uomo che ha osato costruire l’Italia, le sue strade, le sue opere pubbliche più importanti, che aveva dato al paese riforme sociali ed un welfare ben lontano da quello che abbiamo oggi nel belpaese.
Non sognate di trovare in giro per l’Italia vie intitolate per esempio ad Ettore Muti (tranne un vicoletto a Velletri), il militare italiano più decorato di tutti i tempi ed ucciso da una misteriosa ancor’oggi mano badogliana all’indomani del 25 Luglio ’43. Nemmeno nella sua Ravenna.  E come lui tantissimi altri personaggi di primo piano.
Così mentre il nostrano giornalista narrava il vangelo di sue personali verità e sciorinava il suo curriculum (si legge su internet) di ”cultore delle vicende legate alla Shoah e alla persecuzione degli ebrei negli anni Trenta e Quaranta in Italia”, chiedeva la rimozione di tali intitolazioni (che a noi starebbero anche bene essendo i personaggi in questione degli italiani dall’inguaribile trasformismo – uno di essi passò dal presiedere il Tribunale della Razza a fidato collaboratore dell’assassino Togliatti! Che capriole!).
Chissà mai se tale cultore della Shoah ha ricordato ai suoi intervistati di come i perseguitati ebrei venivano trattati nel resto d’Europa; chissà se ha mai detto loro che in Gran Bretagna e negli Usa le navi con i profughi semiti venivano prese a cannonate ed allontanate quando non affondate; chissà se ha informato i suoi ignoranti interlocutori delle masse in fuga verso le zone militari occupate dal nostro esercito piuttosto che dai tedeschi o dai francesi di Vichy. Ne dubitiamo, caro “cultore”.
Ed allora perchè non chiede di rimuovere le vie intitolate a Roosvelt? o quelle intitolate a Tito, Stalin e Lenin? Eh si perchè la vera vergogna, cari cultori della storia, è che in Italia ci siano strade, vie, ponti, scuole, etc. intitolate ad assassini di italiani e ci indigniamo se un vicolo è intitolato a chi per l’Italia ha dato tutto per difenderla.
 
Ecco la verogna!
 

giovedì 7 agosto 2014

LA STRAGE BRITANNICA DI POGGIO MIRTETO.



Chi ha paura della verità?

Fonte art.
Claudio Cantelmo
Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario
della RSI in Provincia di Rieti


San Miniato, in provincia di Pisa, è stato per mezzo secolo un tempio dell’antifascismo, quei mausolei “naturali” che, per essere stati oggetto di una strage tedesca durante la Seconda Guerra Mondiale, si sono prestati alla speculazione dei partiti dell’arco costituzionale ed essere, di conseguenza, elevati a fabbriche di odio antifascista permanente. Quei luoghi sacri agli istituti della Resistenza (immaginar...ia) e alle associazioni dei partigiani (del dopo la guerra, ovviamente), davanti ai quali, a scadenze prestabilite, si riuniscono obbligatoriamente tutti gli studenti del circondario per ascoltare il verbo dei politici di professione, tutti uniti a tramandare, di generazione in generazione, l’odio contro i nazisti e i fascisti. Anche i fratelli Taviani si sono sentiti in dovere di contribuire alla diffusione della “buona novella” con un famoso lungometraggio sulla strage “nazista” di San Miniato, La notte di San Lorenzo (1982): tutto l’apparato della Repubblica Italiana, dalla destra nazionale alla sinistra extra-parlamentare, aveva offerto il suo “agnello sacrificale” – ricevendo ovviamente in cambio alti riconoscimenti economici e politici – al mito della “liberazione”.
Ma il crollo del muro di Berlino, la scomparsa del comunismo, ha provocato la frana di tanti miti resistenziali, seppelliti dal peso della loro stessa menzogna. E così, a San Miniato, quel mormorio “fascista” che strisciava per le vie del paese si è fatto sempre più forte, fino ad esplodere con effetti drammatici. E allora, anche chi per decenni aveva – dietro congruo compenso – diffuso odio in nome dell’antifascismo di professione, ha dovuto ammettere che a San Miniato c’era stato un piccolo errore di valutazione. Sì, quel giorno, ad uccidere quei poveri innocenti – di cui nessuno, tra l’latro, si era mai interessato, se non per sfruttarne la morte sull’altare dell’antifascismo – non erano stati i Germanici, ma gli Statunitensi. Ma perché indignarsi tanto? Il “male assoluto” era pur sempre il “male assoluto”, una piccola bugia a fin di bene era sempre preferibile… alla verità.
Il lettore si domanderà cosa c’entra San Miniato con la provincia di Rieti. Ebbene, sembra che anche questa provincia italiana, un tempo della Repubblica Sociale Italiana, abbia la sua piccola San Miniato “irredenta”, dove una strage compiuta dai Britannici è da sempre stata attribuita ai Germanici, per poterne sfruttare l’orrore in nome dell’odio e dell’unità antifascista.
Quel 10 Giugno 1944, mentre le truppe dell’Impero inglese avanzavano lungo la Salaria, senza per altro incontrare resistenza, Poggio Mirteto viveva l’ansia dei “grandi giorni”. I fascisti e il grosso delle unità tedesche avevano lasciato la provincia di Rieti da alcuni giorni, in tutta tranquillità, senza essere disturbati da nessuno. Di partigiani neppure l’ombra, solo qualche mitragliamento aereo anglo-americano aveva impensierito la lunga marcia verso il Nord, dove si sarebbe continuata la battaglia per la libertà e l’onore d’Italia. Quel 10 Giugno, solo alcuni piccoli reparti germanici rimanevano in zona, per gli ultimi preparativi. Contro queste unità si accanì l’aviazione anglo-americana e le artiglierie britanniche, intenzionate a radere al suolo qualsiasi cosa si frapponesse alle truppe in marcia, fossero semplici casali di campagna, fossero piccoli paesi di montagna. E prima dell’arrivo delle truppe, un’ultima azione di “bonifica” a suon di mortai. Nessun combattimento a viso aperto si voleva coi Germanici. Difficile sconfiggerli solo con i Fanti, anche se in rapporto di uno a dieci. E così, alla vista di Poggio Mirteto, importante centro reatino, dotato fino a qualche giorno prima anche di un forte ed efficiente Presidio della Guardia Nazionale Repubblicana, gli Inglesi – nel timore fossero presenti ancora unità nemiche – decisero di “spazzolarlo” con i mortai, prima dell’entrata delle truppe. La sorte volle che diversi paesani stessero saccheggiando un magazzino viveri quando avvenne l’attacco contro i nemici immaginari: e fu strage. Un eccidio che fu un trauma per tutti coloro che credevano fosse finalmente finita la guerra e le sofferenze. Una beffa mostruosa che pregiudicava anche la mitologia della “liberazione”: come far diventare un crimine di guerra commesso dai “liberatori” in una festa politica? Il trauma psicologico e le necessità politiche imposero la rimozione della realtà storica e quella che era solo una delle tante stragi dei “liberatori di schiavi”, divenne come per magia, un eccidio “nazi-fascista”, con tanto di lapide ricordo, con tanto di manifestazioni di cordoglio, con tanto di scolaresche schierate a sentire i sermoni dei Professoroni antifascisti (pagati con i soldi dello Stato, ovviamente).
«A 70 anni da questo drammatico evento di sangue – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti – c’è chi ancora tenta di speculare politicamente parlando di una “strage tedesca”. Le risultanze storiche, la logica, un’analisi indipendente priva della distorsione ideologica dei fatti in questione, però, pone seri dubbi su questa etichetta. Siamo dell’avviso che i soli responsabili del massacro di Poggio Mirteto siano i Britannici che, come al solito, preferirono aprirsi la strada con l’aviazione, le artiglierie e i mortai, nel costante timore di dover affrontare a viso aperto i reparti germanici sul campo di battaglia. Abbiamo chiesto al Sindaco di modificare la lapide politica che nella piazza centrale del paese ricorda il drammatico evento attribuendolo ai Tedeschi. Volevamo organizzare insieme una manifestazione in ricordo delle vittime di quel crimine di guerra, senza più speculazioni politiche, in modo che – finalmente – si potesse rendere un omaggio disinteressato ai dimenticati di quel giorno, “liberarli” dalla falsità e rendere loro giustizia. Dalla risposta avremmo espresso un giudizio morale nei suoi confronti. Il lungo silenzio faccia esprimere questo giudizio all’intera cittadinanza».









 

mercoledì 6 agosto 2014

Gb: i cittadini spiarono per Hitler durante la guerra


Nuovi documenti mettono in dubbio il patriottismo degli inglesi durante la Seconda guerra mondiale.
Secondo quanto ha rivelato l'Independent in prima pagina il 28 febbraio, è emerso come centinaia di sudditi di Sua Maestà siano stati simpatizzanti dei nazisti e abbiano spiato a sostegno delle mire espansionistiche di Adolf Hitler che voleva invadere la Gran Bretagna.
FILE SEGRETI PER 70 ANNI. Nei file pubblicati dai National Archives di Londra, tenuti segreti per 70 anni, si è scoperto come venne creato un ampio network di spionaggio che l'MI5, i servizi segreti interni di Sua maestà, riuscì a smantellare con propri infiltrati.
Fra i membri dell'operazione i più insospettabili, tra cui un astrologo e un prete cattolico.

Fonte art.  http://www.lettera43.it  

 

Hiroshima, 69esimo anniversario della bomba atomica

Per non dimenticare! !!!!!
6 agosto 1945,la guerra é finita ma i "liberatori" amerigiudei decidono che bisogna liberare meglio la terra del sol levante e sganciano una bomba nucleare sulla città di Hiroshima che causa più di 100 mila vittime in un solo minuto.

Usa è sempre sporca di sangue questa tua bandiera!"

69 ANNI FA, IL 6 AGOSTO 1945, I "LIBERATORI", QUELLI CHE HANNO ESPORTATO LA "LIBERTA'", LA DEMOCRAZIA" E LA "PACE" NEL MONDO, SGANCIARONO SULLA CITTA' DI HIROSHIMA IN GIAPPONE LA PRIMA BOMBA ATOMICA .
 


Sono passati 69 anni, ma quella ferita non si è ancora rimarginata del tutto. E forse non accadrà mai. Hiroshima ha salutato con un minuto di silenzio e raccoglimento il ricordo di una delle peggiori tragedie dell'umanità.


Per non dimenticare! !!!!!

 

martedì 5 agosto 2014

Bruno Mussolini: morte, storia e celebrazione del figlio del duce


Bruno Mussolini, figlio del duce Benito, morì durante la Seconda Guerra Mondiale, nel 1941, per un incidente areo. Ripercorriamo la sua carriera nell'Aeronautica Militare, fino al funerale avvenuto a Pisa.

R.S.I. Mascotte della BARBARIGO

R.S.I.  Mascotte della BARBARIGO


Il battaglione "Barbarigo", inizialmente denominato "Maestrale", fu il primo reparto di Fanteria di Marina della "Decima" ad essere costituito. Nacque a La Spezia, nella caserma di San Bartolomeo, nel novembre del 1943. Ne assunse il comando il capitano di corvetta Umberto Bardelli. Nel gennaio '44, nel ricordo del sommergibile del comandante Enzo Grossi, gli fu attribuito il nome di "Barbarigo".
Delle quattro compagnie su cui era ordinato, la 2a e la 4a erano state addestrate a San Bartolomeo, mentre la e la 3a erano state trasferite per l'addestramento a Cuneo, alla caserma San Dalmazzo.
    Alla metà di febbraio il battaglione si riunì nuovamente a La Spezia. Il 19 ricevette dal comandante Borghese la bandiera di combattimento e il giorno 20 partì per il fronte di Anzio-Nettuno, dove gli angloamericani avevano creato una testa di ponte dopo lo sbarco avvenuto il 22 gennaio.

 

sabato 2 agosto 2014

Codreanu, il capitano e la Guardia di Ferro



Chi meglio di Corneliu Zelea Codreanu ha  incarnato la lotta  per il suo popolo racchiudento in se un amore incondizionato per la propria terra? Un autentico e raro esempio di uomo libero. Corneliu Zelea Codreanu nasce nel bel mezzo della Moldavia, a Iasi,  il 13 settembre 1899. Già il suo nome è un programma di vita: Codreanu in rumeno significa “uomo della foresta”. Dal padre fin da piccolo Corneliu impara ad amare fortemente la sua patria e a sognare per il suo popolo, per la sua gente, un destino più grande. È giovanissimo quandi il 15 agosto 1916 la sua terra, “la piccola Romania”, si getta nella mischia della I guerra mondiale; per la sua età non può arruolarsi volontario. L’1 settembre 1917, con la segreta speranza di partire per il fronte e dare il suo contributo per la vittoria, Codreanu si iscrive alla Scuola Militare Atttiva di Botosani, esperienza che lascerà un’impronta forte sul suo carattere. “Qui -scriverà- ho imparato a parlare poco. Qui ho imparato ad amare la trincea e a disprezzare il salotto”. Finita la guerra la situazione politica interna della Romania è piuttosto grave: nella vicina Russia, ucciso lo zar, il potere è nelle mani dei bolscevichi ed il nuovo stato sovietico mostra chiaramente la volontà di riappropriarsi dele terre perse durante il conflitto. Con questo rischio incombente Codreanu, un pomeriggio del gennaio 1918, raduna nel bosco di Dobrina una ventina di colleghi liceali e fonda l’associazione “Michele Cogalnicaenu” allo scopo di uscire dall’individualismo e spendere tutte le proprie energie senza risparmio per la causa della libertà della Romania. La situazione rumena nel primo dopoguerra non è diversa da quella di molte altre nazioni europee al termine del primo lacerante conflitto mondiale. Tra i fenomeni sociali emergenti: il reducismo, la delusione per il clima provinciale della politica ufficiale, le reazioni per la riforma agraria del 1919. Proprio in quell’anno Corneliu Zelea si iscrive alla facoltà di Diritto dell’Università di Iasi. In questo periodo viene a conoscenza dell’esistenza di un piccolo e battagliero gruppo politico chiamato la “Guardia della Coscienza Nazionale” guidato da Costantin Pancu. Il raggruppamento, al quale aderisce Codreanu, riscuote un certo interesse tra operai e studenti e raccoglie tra le sue fila anche qualche professionista e sacerdote. “Non potrei definire come sono entrato nella lotta. Forse come un uomo che, camminando per la strada con le preoccupazioni, i bisogni ed i pensieri suoi propri, sorpreso dal fuoco che divora una casa, getta la giacca e balza al soccorso di quelli in preda alle fiamme”. Il 10 febbraio 1920 viene proclamato lo sciopero generale in tutto il paese, ovunque si hanno notizie di scontri e dimostrazioni, la situazione è incandescente. Contro coloro che sostengono l’intervento governativo e militare, Codreanu sostine la necessità di agire di persona e fulmineamente. L’imperativo è stroncare il parassitismo diffuso nel Paese. La roccaforte comunista è nelle officine CPR, nei pressi delle ferrovie di Nicolina a Iasi. Ma attraverso una serie di azioni provocatorie e portando avanti una politica sociale estremamente avanzata sarà Corneliu a raccogliere per tutto l’arco della sua vita l’adesione quasi plebiscitaria delle masse operaie. Con questo spirito nascerà un nuovo raggruppamento “Socialista Nazional-Cristiano”. Nel 1920, per la prima volta nella storia, il Senato Accademico dell’Università di Iasi decide di aprire l’anno accademico senza l’abituale rito religioso. Codreanu con un gruppo di amici insorge, fino a spuntarla. L’Università riaprirà con la tradizionale cerimonia. Tra le battaglie memorabili dei primi anni di attività politica di Corneliu anche quella contro la sciapka, un copricapo russo ostentato dagli studenti di fede comunista e, soprattutto, simbolo di indifferenza e mancanza di amore per la propria terra. Più volte attaccato da Codreanu, il rettore dell’Università di Iasi, il 4 maggio 1921, lo espelle dai corsi e dalle lezioni. Tutti i professori della facoltà di Diritto, alla quale è iscritto Corneliu, insorgono contro questa risoluzione e lo iscrivono agli esami autunnali, tanto forte era la stima per questo studente coraggioso ed audace. La vertenza andrà avanti per molto tempo, terminati gli studi, infatti, non verrà mai rilasciata a Codreanu la laurea in Giurisprudenza. Il 22 maggio 1922 viene fondata l’associazione “Studenti Cristiani”, che incontrerà un grande successo nel paese. Nell’autunno dello stesso anno Codreanu lascia la Romania per trasferirsi a Berlino, dove si iscrive alla facoltà di Economia Politica. Nel dicembre del 1922 a Cluij l’intera popolazione studentesca è in rivolta, presto l’incendio divampa in tutta la Romania, Corneliu intuisce che si tratta di un momento decisivo per il futuro rumeno e ritorna in patria frettolosamente per mettersi a capo del movimento studentesco insieme a Mota, figlio di un sacerdote ortodosso, presidente di un circolo studentesco, con il quale nascerà un’amicizia profonda e perenne. Ben presto i due capiscono la necessità urgente di estendere la stessa lotta studentesca all’intero popolo della Romania. Si avverte il bisogno di fondare un vero e proprio partito per continuare con maggiore incisività e radicamento le tesi partorite dai banchi universitari. “Occorre un nuovo strumento, ma occorrono soprattutto uomini nuovi”, questo il vero assillo di Codreanu. Per questo viene avvicinato il professore Cuza, l’uomo all’epoca più prestigioso in tutto il Paese, che prenderà la presidenza della “Lega di Difesa Nazionale e Cristiana” al cospetto di oltre diecimila cittadini. È il periodo degli scontri più violenti negli atenei, l’Università è al centro della lotta e fornisce il nerbo dei dimostranti. Durante una di queste manifestazioni contro l’esercito, Codreanu viene arrestato per la prima volta e internato nella prigione della Porta Verde. Inizia così la lunga serie di arresti che condurrà il Capitano e i suoi una vera persecuzione politica e ad essere eliminati fisicamente senza lo straccio di un processo. Nonostante la reclusione del Capitano, l’organizzazione del movimento procede a gonfie vele e viene celebrato il congresso per il 22-25 agosto 1923. In quell’occasione la polizia ordina di sbarrare la porta d’accesso della Chiesa dove si sarebbe dovuta tenere la cerimonia religiosa in suffragio degli studenti morti in guerra, quindi, come già avvenuto a Fiume, gli studenti del movimento si inginocchiano all’aperto e, circondati da una folla enorme, pregano in silenzio. Le provocazioni delle autorità procedono senza fine e gli studenti occupano le aule universitarie per tenere le proprie assemblee. Il Congreso si tiene illegalmente, il Capitano, ricercato dalla polizia, riuscirà a dare il suo contributo vestito da meccanico, non riconosciuto nemmeno dai suoi. Poco dopo Codreanu diventa popolarissimo anche tra i contadini, vessati da una situazione agricola nazionale molto precaria per l’eccessiva polverizzazione della proprietà terriera. La base studentesca, racconta in questi giorni Mota, è al limite della sopportazione. Nonostante il favore di Codreanu verso il metodo della non-violenza come arma di lotta, si decide di dare una volta per tutte un esempio “tremendo” della risolutezza della gioventù rumena. Viene insomma composta una lista di sei ministri da eliminare. La sera dell’8 ottobre 1923 mentre i congiurati sono riuniti per stabilire i dettagli dell’operazione, la Polizia irrompe nel luogo e arresta tutto il gruppo. Il delatore è uno degli stessi organizzatori: Vernichescu. Il processo che ne segue ha un epilogo eccezionale: Codreanu, come suo costume, si prende la paternità dell’azione e indica ai giurati le motivazioni ideali del getso. I giudici riconoscono la sola colpevolezza di Mota e i legionari vengono liberati dopo sette mesi di carcere. L’esperienza del carcere è centrale nella vita di Corneliu Zelea Codreanu. Dalla prigione uscirà un uomo completamente cambiato, rinnovato nell’animo. Il ricordo dell’icona dell’Arcangelo Gabriele, davanti alla quale il Capitano si era spesso ritrovato a riflettere e pregare in quei mesi, lo porterà ad assumere l’Arcangelo come protettore futuro del Movimento. Nella nuova fase l’azione di Corneliu ruota intorno al proposito di dare adeguata “educazione” a quella gioventù che crede ciecamente in lui e nella riscossa nazionale. “Prima dobbiamo conoscere e correggere i nostri difetti e poi vedere se abbiamo o no il diritto di occuparci anche di quelli degli altri”. Con questo spirito di formazione interiore l’8 maggio 1924 ad Ungheni viene organizzato il primo campo volontario del mondo. Il lavoro viene però interrotto molto presto dal Prefetto di Polizia Manciu che arresta tutti i presenti. Agli arrestati vengono inflitte vere e proprie sevizie, molti studenti vengono frustati a sangue. Il 25 ottobre il Capitano, che ha assunto le difese di uno studente torturato dal Prefetto, fa il suo ingresso in tribunale e alla prima scomposta reazione di Manciu tira fuori un revolver e lo fredda. Immediatamente arrestato viene internato nella prigione di Galata. La stampa inanime si schiera a suo favore, la popolazione è tutta incondizionatamente per lui; il processo, durato sei giorni, si svolge in un clima trionfale per il Capitano. Il verdetto lo conferma: Codreanu ha agito per legittima difesa ed è portato in trionfo fino a Iasi. Il 14 giugno 1924 il Capitano sposa la bellissima Elena Ilinoiu: la cerimonia, secondo il rito ortodosso, viene filmata. La colonna di invitati che segue la coppia supera i sette chilometri. Mentre Codreanu è in Francia per conseguire il dottorato in Legge, la situazione in Romania si complica. I risultati elettorali sono soddisfacenti, entrano altri nove deputati in Parlamento, ma il professor Cuza non riesce a controllare la situazione sotto il profilo politico-strategico. Il gruppo parlamentare si spacca in due tronconi, per Codreanu la scelta è durissima. La decisione è di dare un taglio netto al passato. Il 24 giugno 1927 convoca per le dieci di sera i suoi amici più fidati, non servono molte parole; tutti già sanno. Il Capitano si alza in piedi : “Oggi, San Giovanni Battista, si costituisce la Legione dell’Arcangelo Michele, sotto la mia guida. Chi verrà con noi deve avere una fede illimitata, resti lontano chi non ne ha a sufficienza o nutre dei dubbi”. La Legione è quanto di più lontano da un partito inteso in senso classico, è un movimento assolutamente originale per la creazione di un nuovo individuo, in rottura con l’uomo economico, pragmatista ed egoista. Cuza, informato da Codreanu della nascita della Legione, comprende la distanza che li separa, apprezza il grande coraggio dei legionari e li scioglie dal giuramento prestato all’atto della costituzione della Lega di Difesa Nazional-Cristiana. In brevissimo tempo la Legione mette in allarme i vari centri del potere, la stampa contraria prima cerca di ignorare il fenomeno, poi incomincia ad ospitare gli articoli vibranti di Codreanu e dei suoi collaboratori. Il Capitano riesce a raggiungere il cuore del contadino come dello studente e dell’operaio con un linguaggio semplice e mai demagogico; le adesioni si moltiplicano. Il 20 giugno del 1930, poco dopo il ritorno nel Paese di Carol II, si costituisce ufficialmente la “Guardia di Ferro” che sarà presto conosciuta con questo nome in tutto l’Occidente. “I centri vitali della nostra esistenza nazionale sono attaccati… Difronte a questo pericoolo, mentre i politici lottano tra loro per banali liti, noi, figli di questa terra, teniamoci per mano e proclamiamo tutti insieme l’unione della gioventù rumena”. Per dare maggiore valore simbolico dell’azione antibolscevica, che in Romania assunse caratteri di grande forza popolare, viene decisa una marcia sulla Bessarabia, un territorio oggetto delle mire espansionistiche della Russia. La stampa reagisce con una politica persecutoria, il governo temporeggia e poi vieta la manifestazione, conoscendo bene le simpatie della popolazione della Bessarabia per Codreanu. Sono in troppi ormai a temere seriamente la Guardia di Ferro: tutti i gruppi politici si coalizzano per stroncare il Movimento Legionario. L’11 gennaio 1931 un decreto ne sancisce lo scioglimento, tutte le sedi vengono perquisite, migliaia di militanti interrogati e molti trattenuti in carcere. L’accusa pretestuosa è di aver intrapreso un’azione violenta contro la forma di Governo stabilita dalla Costituzione; ma mancando qualsiaisi prova concreta (documenti, armi, bombe) si contesta al Capitano di essere un “traditore” e di essersi fatto condizionare da modelli stranieri. Corneliu, come suo costume, smonterà una ad una tutte le accuse, i giudici sono costretti ad assolverlo, dopo che il Capitano ha comunque passato quasi due mesi in carcere come detenuto comune. Il governo nazional contadino cade e si indicono nuove elezioni. Il Capitano decide di candidarsi al Parlamento rumeno con la lista chiamata “Partito di Corneliu Codreanu”. Sarà eletto deputato il 31 agosto 1931 con 11.176 voti. Il primo discorso di Corneliu in Parlamento resterà famoso per il suo rigore: richiesta immediata della pena di morte per tutti coloro che si sono appropriati con la frode del denaro dello Stato. Prima delle successive elezioni il nuovo governo scioglierà nuovamente la “Guardia di Ferro”. Dalle urne però il Movimento vedrà più che raddoppiati i consensi. Codreanu e i suoi riescono a penetrare nelle roccaforti delle province orientali ed a stabilire nuovi centri di diffusione tra le masse contadine. “Noi e gli uomini di buon senso non abbiamo paura né del comunismo, né del bolscevismo. C’è una cosa che ci fa paura: è che gli operai di queste fabbriche non hanno a sufficienza da mangiare”. Per Codreanu e i suoi compagni di partito il potere parlamentare è soltanto un “mezzo” per saziare la fame di giustizia sociale del Paese. Corneliu provvede a devolvere buona parte dell’indennità parlamentare alle casse della Legione, trattenendo per sé solo l’indispensabile. Nell’estate del 1933 la Legione dà una grande prova di amore e di stile nell’affrontare le emergenze della nazione. Ciclicamente a Visani, il fiume Buzau, ingrossatosi per le piogge continue, straripa con conseguenze disastrose. Ogni volta lo stesso copione: il governo assicura il proprio interessamento, testimonia tutta la solidarietà e non fa nulla di serio. Il Capitano decide di sostituirsi alle carenze dei politici e di costruire sul fiume una gigantesca diga, lunga due chilometri, capace di imbrigliare il fiume. Il 10 luglio tutto è pronto, si tratta di un campo volontario di lavoro: l’entusiasmo è alle stelle. Ancora una volta il governo è contrario, gli ordini sono tassativi: la Polizia deve intervenire, molti studenti resteranno feriti gravemente. I Legionari in questa occasione attuano una “resistenza passiva”: si sdraiano nel fango alto due palmi cantando “Dio è con noi”. Il clima è ormai di vero e proprio terrorismo politico: ai legionari diventa difficile perfino trovare una tipografia che possa stampare le loro pubblicazioni che di fatto vengono censurate. Codreanu ha in mente un’altra grande iniziativa: la costruzione della “Casa Verde”, quartier generale del Movimento. Il problema annoso della mancanza di fondi viene risolto: circa cento militanti lavorano per tre mesi come operai in una fornace, richiedendo come unico compenso quotidiano un certo quantitativo di tegole e mattoni. In breve tempo la costruzione-simbolo è ultimata; qui si tengono le riunioni più importanti, qui un giorno riposeranno i martiri della Legione. In tutta la Romania strade, ponti, chiese ed opere pubbliche testimoniano la valida concretezza della “mistica del lavoro” della Guardia. Alla vigilia delle elezioni del dicembre 1933 però, il leader del partito liberale, Duca, intervistato a Parigi, dichiara che la Guardia è uno sporco esercito di mercenari al soldo di Hitler. Malgrado l’intervista fece il giro del mondo, la Guardia proseguì nel suo progetto anche grazie al successo di “Libertà”, la rivista curata da Mota. Ma la repressione nei confronti del Movimento Legionario assume un’accellerazione fatale. Durante la campagna elettorale uno studente viene ucciso alle spalle da un ufficiale di polizia a Costanza, mentre affigge un manifesto. Il governo sente perdere il terreno sotto i piedi ed il Consiglio dei Ministri decreta per la terza volta lo scioglimento della Guardia di Ferro. Segue una folle ondata di arresti: 18.000 persone, tra le quali lo stato maggiore della Guardia. Il bilancio è atroce: 300 ammalati nelle prigioni, 16 morti e 3 tumulati vivi sottoterra. A questo punto tre legionari fatti torturare dal capo del partito liberale decidono che Duca deve morire. Il 30 dicembre il leader viene ucciso e subito dopo i tre si consegnano spontaneamente alle autorità, dichiarandosi pronti a scontare tutte le conseguenze della loro azione. Ma l’uccisione rinvigorisce la campagna contro la Legione che porta ad un nuovo processo. Ancora una volta Codreanu e altri 50 legionari sono assolti tra il tripudio del popolo. Una morte terribile li attenderà il 30 novembre 1938. Il successore di Duca come Primo Ministro, Tatarescu, sebbene uomo energico, si mostra più comprensivo verso il Movimento Legionario, avendo capito che la strada delle persecuzioni spietate porta l’opinione pubblica, ormai conquistata dal coraggio dei ragazzi del Capitano, a ribaltare la situazione. Viene quindi ricostituita la Guardia su basi legali e nasce il partito “Tutto per la Patria” riconosciuto il 20 marzo 1935. I nemici storici di Codreanu, frattanto, approfittando dell’invidia di un deputato della Guardia nei confronti del Capitano, si accordano con lui per fare fuori il capo della Legione. L’autore dei due tentativi falliti di uccisione di Codreanu è Stelescu. Prima si serve di un allievo delle scuole normali che, appostato dietro una finestra, avrebbe dovuto sparare contro Corneliu, poi (in caso di insuccesso) aveva previsto un piano per avvelenarlo con il cianuro di potassio. Secondo le leggi legionarie Mihai Stelescu sarebbe dovuto essere giudicato dai suoi compagni ed espulso dal Movimento, mentre se si fosse pentito avrebbe potuto far ritorno nella famiglia della Guardia come un figliol prodigo. Invece costui, accecato dall’ambizione, continua a condurre una campagna scandalistica contro la Legione. Fonda così “La Crociata del Rumenismo” con il chiaro scopo di far concorrenza a Codreanu e lancia sulla stampa accuse gravissime e infondate a Corneliu, ma nessuno degli appartenenti all’ex Guardia di Ferro si lascia ingannare. Per l’etica legionaria la colpa più grave e ignobile è quella del tradimento dei propri fratelli di lotta o amici. Gli ambienti estremisti della Guardia decidono quindi la morte del traditore. Il 16 luglio 1936 infatti il gruppo dei “Decenviri” raggiunge Stelescu in ospedale e lo uccide. Si tratta dell’unico esempio di tradimento in seno alla Legione dalla sua fondazione. Nonostante questo episodio la fama di Codreanu varca i confini della Romania e si diffonde in Europa. In una lettera indirizzata al re alla fine del 1936 il Capitano si fa interprete del ribaltamento della politica rumena e di un avvicinamento alle altre nazioni dalle rivoluzioni nazionali. Moltissimi in Italia parlano in termini entusiasti dell’esperimento legionario rumeno. È giunta l’ora per i capi legionari: Codreanu, Mota, Marin e Sima, decidono di fare il grande salto di qualità. Percorrono la propria terra in lungo e in largo per scuotere la gioventù e rompere col vecchio mondo. La Legione comprende chiaramente che le scelte di civiltà si fanno su scala europea. Sono circa 10.000 i legionari che vogliono arruolarsi volontari nell’armata di Franco in Spagna, tra questi Ion Mota, braccio destro di Codreanu, e Vasile Marin, uno dei più grandi avvocati di Bucarest, troveranno la morte arma in pugno il 13 gennaio 1937. Nella capitale rumena una cerimonia grandiosa attende i due legionari caduti: oltre 300.000 persone fanno da ala al corteo funebre. Il Capitano, in ricordo dei due indimenticabili legionari, decide di creare il corpo scelto “Mota-Marin”. Sul fronte elettorale la situazione con il partito “Tutto per la Patria” è ormai matura; la campagna elettorale incandescente viene affrontata con grande dignità e coerenza. “Non dite -racconta Codreanu- votate per noi perché gli altri sono cattivi, ma date a noi il vostro voto per quello che abbiamo fatto di buono. Andate fra la gente con allegria, parlate solo di cose costruttive… comunicate gioia e luce”. I risultati del dicembre 1937 sono clamorosi: la lista del Capitano porta alla Camera ben 66 deputati e supera del 6,43% il partito Nazional-Cristiano. A formare il governo però viene chiamato questo partito, di Cuza e Giova. La manovra del re è perfida: il ministro Goga, facilmente manovrabile dall’alto, deve erodere le posizioni del Movimento di Corneliu Zelea Codreanu, ma la popolarità del Capitano continua invece ad aumentare. Il governo Goga fallisce completamente il suo obiettivo e torna il Terrore. L’11 febbraio 1938 con un colpo di stato, il re Carol sospende la Costituzione, scioglie i partiti ed instaura una vera e propria dittatura personale. Il colpo di stato, covato dal sovrano per oltre dieci anni, è la chiara testimonianza dell’ultima chance di un mondo ormai completamente alla deriva. Viene creato un partito unico “Il Fronte della Rinascita Nazionale”, al dicastero degli interni viene chiamato Calinescu, che ha dato numerose prove di avversione alla Guardia di Ferro. Le reazioni di Codreanu sono estremamente caute e responsabili, una mossa falsa avrebbe compromesso la vita di tanti legionari. Il 21 febbraio 1938 Corneliu convoca i giornalisti ed inaspettatamente dichiara la volontà di chiudere il partito. “Noi, manifestando la nostra fede, abbiamo inteso agire in conformità con la legge, non vogliamo usare la forza. Siamo lontanissimi dall’idea di colpi di Stato”. I pieni poteri a Calinescu significano inequivocabilmente una nuova ondata repressiva. Il pretesto per incriminare Codreanu è fornito da una lettera inviata allo scrittore e uomo politico Iorga, nella quale il Capitano rimproverava al grande nazionalista rumeno di aver tradito le aspettative della gioventù. La Magistratura, informata della lettera da un articolo dello stesso Iorga, condanna Corneliu a sei mesi di carcere per oltraggio. Contemporaneamente Calinescu ordina che tutti i Legionari siano internati in campi di concentramento. Il Capitano, che potrebbe rifugiarsi all’estero, non se la sente di lasciare i compagni e la sua terra consapevole della imminente fine. I rapporti difficili tra il Capitano ed il generale e poi maresciallo Ion Antonescu fanno comprendere a pieno la drammaticità della parabola finale della Guardia di Ferro. Fin dal ’24 Antonescu, simbolo del perfetto soldato rumeno, nonostante una indubbia stima personale per Codreanu gli aveva riservato giudizi molto pesanti e dopo il colpo di stato del 1937 aveva ottenuto il tanto ambito Ministero della Difesa. Con questa carica Antonescu si dimostra intransigente assertore dell’ordine pubblico, applicando limitazioni severissime ai manifestanti. Dopo l’affare però Iorga si oppone duramente all’arresto di Codreanu. Senza Antonescu alla Difesa viene ricostituito il governo del Patriarca e la fine per il Capitano è alle porte. Corneliu Zelea, in venti anni di fervida attività politica, ha subìto numerosi processi terminati tutti con assoluzioni piene eppure tutto ciò viene dimenticato. Si rispolverano vecchie e ridicole accuse, si riaprono processi di anni prima, si inventa una lettera ad Hiltler mai scritta… Per dieci lunghe ore il Capitano si difende strenuamente, testimoniando la sua totale innocenza ed estraneità ai fatti che gli vengono contestati. La stampa si vede censurate le cronache del processo, anche se l’opinione pubblica è tutta ancora con il fondatore del Movimento Legionario; il collegio dei giudici, formato da Galinescu, lo condanna a dieci anni di carcere. Il calvario del Capitano inizia il 17 aprile 1938; durante i giorni di prigionia Codreanu tiene un diario, che sarà pubblicato dopo la sua morte, che ci offre la fotografia reale della sua immensa forza interiore e grandezza d’animo. “Fede e Amore, non le ho perdute, ma sento che a un tratto si è disseccato il filo della speranza. Sono 60 giorni che dormo vestito sul tavolato e su questa stuoia, 60 giorni e 60 notti che le mie ossa succhiano, come una carta assorbente, l’umidità che trasuda dalle pareti e dal pavimento”. Anche in queste condizioni il Capitano fa paura. Governo e Sovrano sanno bene che la “gente” guarda ancora e sempre a lui come l’unico uomo capace di risolvere i problemi secolari della Romania. Per ordine di Calinescu e col pretesto di un inesistente tentativo di fuga, Corneliu Zelea Codreanu, il 30 novembre 1938, viene fatto strangolare insieme a tredici legionari durante un trasferimento da un carcere ad un altro. L’annuncio ufficiale della morte dato dal Comando della Seconda Divisione Militare, al quale nessuno crede, afferma che durante il trasferimento ad una trentina di chilometri da Jilava il convoglio si ferma per un guasto al motore, i prigionieri approfittano di questo “strano incidente” per cercare di evadere e i gendarmi si vedono costretti ad aprire il fuoco. Più tardi il Maggiore Dinulescu, che diresse l’assassinio per ventimila lei, e l’autista confessarono la tremenda verità. Ecco qui le sei leggi fondamentali del CUIB:
“1) La legge della disciplina: sii legionario disciplinato, perchè solo in questo modo sarai vittorioso. Segui il tuo capo nella buona e nella cattiva sorte.
2).La legge del lavoro: lavora. Lavora ogni giorno. Lavora con amore. Ricompensa del lavoro ti sia non il guadagno, ma la soddisfazione di aver posto un mattone per la gloria della Legione e per il fiorire della Romania.
3) La legge del silenzio: parla poco. Parla quando occorre. Di’ quanto occorre. La tua oratoria è l’oratoria dell’azione. Tu opera, lascia che siano gli altri a parlare.
4) La legge dell’educazione: devi diventare un altro. Un eroe. La tua scuola, compila tutta nel Cuib. Conosci bene la Legione.
5) La legge dell’aiuto reciproco: aiuta il tuo fratello a cui è successa una disgrazia. Non abbandonarlo.
6) La legge dell’onore: percorri soltanto le vie indicate dall’onore. Lotta e non essere mai vile. Lascia agli altri le vie dell’infamia : Piuttosto che vincere per mezzo di un’infamia, meglio cadere lottando sulla strada dell’onore” (“Il Capo di Cuib”).
 
 
Articolo a cura di Livio Basilico dell’Associazione Culturale Zenit
 
 

(TN), si è appena conclusa la fiaccolata forzanovista




Si è appena conclusa la fiaccolata organizzata da Forza Nuova a Marco di Rovereto di fronte al campo profughi che ospita 70 immigrati, tra i quali si nasconde chi, poche sere fa, ha barbaramente stuprato una mamma italiana.
I 50 militanti forzanovisti sono riusciti a forzare il blocco della polizia, e ad arrivare davanti all...'entrata del campo al grido "Rimpatrio, Rimpatrio!", esponendo due striscioni con su scritto: "Ma quale autunno? Chiusura immediata e rimpatrio coatto" e "Basta immigrazione, fermiamo l'invasione"
Il coordinatore nord Italia Luca Castellini ha promesso di tornare il 21 settembre, primo giorno d'autunno, insieme ai militanti di FN e alla comunità marcolina, per verificare se, come affrettatamente promesso dal sindaco di Rovereto e dalla provincia di Trento, verrà effettivamente chiuso il campo profughi.


Movimento politico.
Forza Nuova.



 

Morto Nicollini, l’ultimo combattente della RSI



E’ morto a 101 anni Mario Nicollini, storico presidente dell’Unione Combattenti della Rapubblica Sociale Italiana. A diffonderne la notizia è stato il sito del quotidiano La Provincia. Nicollini avrebbe compiuto 102 anni il prossimo ferragosto. Si è spento all’ospedale Sant’Anna di San Fermo della Battaglia dopo una vita trascorsa in camicia nera, che indossava spesso nelle occasioni pubbliche in cui era chiamato a intervenire, spesso per commemorare la figura del Duce per il quale si è molto battuto affinché avesse riconoscimenti e commemorazioni.

 
Camerata Mario Nicollini PRESENTE PRESENTE PRESENTE.
 

Si fingono dipendenti Enel per truffare anziani, ma stavolta si trovano davanti un reduce fascista

Doveva essere un’ vittima di truffa e ancora una volta un anziano. Un uomo del ’32 è stato convinto da due sedicenti dipendenti Enel ad aprire la porta di casa con la scusa della lettura del contatore. Ma a fine visita erano spariti dal portafogli ben 200 euro e li ha inseguiti con un gladio romano.

Porto Torres – Nuovo raggiro ai danni di pensionati da finti dipendenti Enel. L’ultimo episodio si è registrato in città in Sardegna, dove un uomo del ’32, intento a curare il suo orto, ė stato raggiunto da una coppia di uomini, uno dei quali aveva in testa un caschetto. Il loro modo di fare e l’abbigliamento hanno convinto l’anziano a farli entrare poiché, a detta dei due, doveva esser letto il contatore. A operazione terminata, quando se ne sono andati,l’anziano ha poi realizzato che dal portafogli erano spariti 200 euro in contanti. Immediata la reazione del malcapitato che è riuscito a raggiungerli.
Non appena se ne sono andati e accortosi del raggiro ha impugnato il suo gladio romano che custodiva dai tempi in cui militava nei “balilla”, li ha rincorsi nel vicolo e bloccati in un punto morto, “ridatemi i miei soldi o vi taglio le mani!”, i truffatori si sono arresi subito capendo che l’uomo non scherzava e non solo hanno restituito i 200 euro ma anche gli altri 2000 che avevano rubato dai vicini.
“Sono di un’altra pasta” ,afferma l’uomo “ho militato nei reparti d’assalto fascisti e questa gentaglia non mi fa paura, oggi come ieri”- afferma il raggirato che aggiunge – “Quando c’era Lui si dormiva colle porte aperte”.
Della coppia di truffatori gli inquirenti hanno stabilito che uno è italiano e risiede in un centro sociale occupato, l’altro è straniero – quello col caschetto in testa – noto spacciatore albanese. Il consiglio delle forze dell’ordine è sempre lo stesso: mai in nessun caso aprire a sconosciuti e nel dubbio non esitare a chiamare il 113. L’anziano è stato iscritto nel registro degli imputati per minaccia aggravata con arma bianca, ma vista la sua età non dovrebbe subire ripercussioni giudiziarie.



 
 

Onore al camerata .

Fonte art  http://ripuliamolitalia.wordpress.com