domenica 7 febbraio 2016

MA DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO SENZA AVER FINITO DI PENSARE ?

 Art. Camerata
Marco Affatigato.

Come scritto in un precedente post , di qualche giorno fa: “Spesso il nostro pensiero si ferma alla superficie delle cose, senza fare lo sforzo di andare un po' più sotto per cogliere la complessità. Ci si ferma alle risposte immediate, senza lasciare che esse generino altre domande di vitale importanza.”
“Detestava le persone che parlano senza aver finito di pensare, dunque detestava quasi tutta l’umanità” , diceva Thomas Bernhard. Spesso il nostro pensiero non riesce a cogliere la realtà nel suo complesso, nella sua magmatica poliedricità. Magari per pigrizia o sfiniti dall’abitudine, ci fermiamo alle risposte confezionate o a quelle che diamo per scontate. Non indaghiamo in profondità, perché la ricerca comporta un impegno e una capacità di analisi che non siamo più in grado di sostenere o non vogliamo più “ricercare”. D’altronde c’è così tanto da fare per sopravvivere, che non si ha mai il tempo per riflettere. Resta più comodo prendere in prestito i pensieri, o comprare i pensieri che “gli altri” , i professionisti della politica ed i loro lacché attraverso giornali e radio televisioni ci danno a buon mercato. Pensieri che non diventano più ma che sono spesso incubi. Ma a noi che importa? Tanto domani è un altro giorno, e si edrà …per oggi abbiam mangiato e forse domani sarà il giorno buono. Quello della svolta. Quello in cui riusciremo finalmente a scalare la piramide sociale per fissarci al vertice e dominare finalmente. Dominare. Questo è l’obiettivo.
E potrei continuare con altre contraddizioni del nostro sentire comune, come per esempio lo “stato sociale”. Chi potrebbe mettere in dubbio la sua valenza positiva? Chi vorrebbe tornare indietro a un’epoca che non lo aveva ancora neppure pensato? Eppure tutti ci lamentiamo della odierna mancanza di solidarietà. Dell’individualismo sfrenato. Dei legami sociali distrutti. Ma non è forse questa una lampante contraddizione? Una contraddizione pari solo all’altra grande contraddizione di quando ci lamentiamo di essere troppo consumisti e, al tempo stesso, affidiamo al “far ripartire i consumi” tutte le nostre speranze. Lo stato sociale è nemico della solidarietà. Ivan Illich diceva : “La sirena di un’ambulanza udita per la prima volta in un paese che non ne aveva, distrugge il legame sociale”. Superfluo forse aggiungere qualcosa a una così lampante evidenza: se c’è uno Stato che provvede a un tuo bisogno, io sono esentato dal venirti in aiuto. Se stai male, non è compito mio portarti in ospedale: c’è l’ambulanza, che per di più è accessoriata per ogni evenienza. Inoltre, rispetto agli anni ’70, nei quali Illich scrive “Nemesi medica” (da cui la citazione), oggi la situazione è ulteriormente cambiata (aggravata?): io non sono più esentato dal venirti in aiuto, ma spesso ne sono impossibilitato per legge. Se ti soccorro, devo stare attento a non compiere qualcosa al di fuori del protocollo legale, oppure rischio seriamente una denuncia penale, un processo ed anche il carcere e poi il risarcimento del danno “civile” e “sociale”.
Se ci si ferma un attimo a pensare , a riflettere, si vede bene come sia tutta una questione di orizzonte, di visione del mondo (qualcuno, come me, la chiamerebbe weltanschauung ) . Dal momento che un’azione, un fatto, un evento sono di per se stessi neutri. Solo lo scopo li qualifica. Perché è in virtù di un certo scopo che l’azione o un dato fatto sono proprio quell’azione e quel fatto. Solidarietà, equità, sostenibilità ambientale, dignità umana e giustizia sociale. Una lista di parole per un mondo di pensieri che sono i punti fondanti del “bene comune”.Un sistema di valori che promuovono il bene comune e si pone l’obiettivo di conciliare l’ambizione al profitto delle aziende ad una condotta che contribuisca al bene della collettività.
“Teniamo in serbo le nostre domande perché noi stessi ne abbiamo paura, poi ad un tratto è troppo tardi per porle. Vogliamo lasciare in pace l’interrogato, non vogliamo ferirlo profondamente perché vogliamo lasciare in pace noi stessi e non ferirci profondamente. Rimandiamo le domande decisive
e facciamo senza posa domande ridicole, inutili e meschine, e quando facciamo le domande decisive è ormai troppo tardi”, diceva sempre Thomas Bernhard.




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